LA VITA AGRA DEGLI INSEGNANTI è un lungo reportage, a cura di Calo Bonini, di “Repubblica”: viaggio inchiesta nel mondo dei docenti italiani (835mila ma 200 mila precari)
Lunghissimo, ma l’ho letto volentieri. Per chi non volesse o non potesse leggerlo, dico subito che esso è istruttivo. Ma non sulla scuola italiana, piuttosto sul modo di approcciarsi al mondo della scuola da parte dell’informazione, che alla realtà preferisce la narrazione.
“…lei gli aveva sempre mentito, è vero, questo è male, è malissimo, perchè la menzogna è un cancro e si propaga, e si radica, e si confonde con la sostanza stessa che corrompe – ma lui aveva fatto di peggio: lui le aveva creduto” (cit. Il colibrì, Sandro Veronesi, pag. 144)
Fissiamo la presentazione-sintesi dell’inchiesta: “Disegnano la scuola ma molti di loro, 200 mila, sono precari. Ostaggi di un percorso ad ostacoli fatto di concorsi, graduatorie ed abilitazioni che negli anni è diventato sempre più sfinente e complicato. Eroi o burocrati, appassionati (visionari) o rassegnati. In prima linea nella battaglia più importante: quella per la formazione dei ragazzi. Un ruolo che oggi resta sulle spalle degli insegnanti. Criticati, offesi, alle volte distratti, non tutti aggiornati, prigionieri di sindacalismi rivendicativi, ma anche l’ultima trincea della passione e dell’educazione presente e futura”.
E adesso andiamo ad osservare da vicino il contenuto. La sostanza dell’inchiesta presenta lunghe interviste a: Marina Pietra (Frau Pietra) (docente di tedesco, scientifico Volta Milano), Nicolò Gallo ‘a carogna, (diritto, istituto Casanova di Napoli), Angela Iannuzzi (latino e greco, liceo Umberto di Napoli), Mauro Presini (maestro della Bruno Ciari di Cocomaro di Cona), Francesca Muraca (maestra all’istituto Thouara Gonzaga di Milano), Daniela Lo Verde (preside al Falcone di Palermo), Alfonso D’Ambrosio (preside dell’istituto di Lozzo Atesino). Il meglio della scuola italiana. Ora vi è chiaro come è stata condotta l’inchiesta sulla scuola italiana. Con il solito ideologismo per cui un giornale di sinistra non può fornire, con tutte le approssimazioni del caso, una fotografia della scuola italiana, ma, con quel moralismo che ci giunge addirittura da De Amicis, deve fornire soltanto ritratti edificanti di professori, professoresse, maestri, maestre di valore. La reticenza maggiore è sul fenomeno del precariato. Chi lo ha voluto e perchè? Eppure è un fatto storico, la destra ama i condoni, la sinistra le sanatorie. Il fatto fondamentale comunque è questo (le opinioni le lasciamo agli ideologi): noi non sappiamo quanti sono i docenti bravi e quanti quelli cattivi della scuola italiana, quanti sono i dirigenti bravi e quanti quelli cattivi. Così come non sapremo mai la dad quanti docenti l’abbiano attuata. Ma spiegare la scuola italiana facendo parlare solo gli insegnanti bravi è fuorviante, pregiudiziale, sommario, parziale. Ma soprattutto comodo. Perchè parlare della parte buona (che potrebbe essere anche l’80% della scuola italiana, solo che occorrerebbe prima appurarlo) senza analizzare il resto, crea un effetto distorsivo: il tutto viene scambiato con la parte. Per i giornali è comodo, perchè se parli di un prof che non funziona, non solo si arrabbia l’interessato, ma, per un riflesso automatico, l’intera categoria. Voglio raccontare una verità che fa parte del mio vissuto, per spiegare il concetto. Quando io parlavo con un alunno e gli chiedevo di descrivermi un suo prof. bravo, l’alunno era ben felice di farlo. Ma se gli chiedevo di un prof. “cattivo” ogni alunno si bloccava. Mi diceva di non voler fare la spia, di non aver niente da dire, insomma era chiaro che a me preside era come se dicesse: se non lo sai tu com’è, lo vuoi sapere da me? E perchè poi? Infatti io ogni volta dicevo loro: Ho capito, facciamo così, io te lo descrivo e tu alla fine mi dici se quello che dico io sia vero oppure no. In ogni scuola tutti, a cominciare dagli alunni a finire con i muri, sanno chi è bravo e chi no. Ma deve rimanere un segreto ben custodito perchè “eroi o burocrati, appassionati (visionari) o rassegnati”, bravi o cattivi, tutti non soltanto prendono lo stesso stipendio, ma tutte le vacche sono nere nella notte nera, secondo la metafora hegeliana. L’inchiesta di Repubblica lo dimostra ancora una volta, senza capire che a scuola come alla Rai, in parlamento come al governo, in un’azienda come in una qualsiasi organizzazione, ci vogliono le persone giuste al posto giusto. Se in Italia non si analizza bene l’organizzazione scuola cacciando via quelli che non funzionano (devono cambiare mestiere) non verremo a capo del problema. Non è questione solo, come si pensa, di soldi. I soldi vanno dati ai bravi. Ma siccome neppure un concorso per presidi riusciamo a finire senza che le carte finiscano alla magistratura, significa che non sappiamo da dove cominciare a fare la selezione. Ci devono curare medici bravi? Si. E perchè non devono insegnare solo prof bravi? Chiedetelo a Repubblica a cominciare dal suo ideologo per la scuola che si chiama Corrado Zunino.