POLITICA/ Sistema proporzionale o maggioritario? Uno spiegone per capire tutto davvero

(2020) Qualunque sia il vostro orientamento politico, è utile fare un test per chiarirsi le idee. Pertanto mettetevi comodi, non vi ruberò molto tempo per farvi riflettere sulle scelte possibili. Cominciamo, allora, dalla scelta fondamentale che concerne il sistema elettorale.

Se vi piace il sistema proporzionale, significa che avete in testa un’idea ben precisa della politica e del funzionamento del sistema. Ritenete cioè che prima ci si conta e dopo le elezioni si fanno le alleanze, come avveniva nella Prima Repubblica. Inoltre di sicuro ritenete che più è bassa la soglia per accedere in parlamento meglio è per la democrazia. Voi proporzionalisti, consentendo anche alle forze minuscole di ottenere seggi, avete poco a cuore il “governo”, quel che vi interessa per davvero è il parlamento, la rappresentanza.

Sul fronte opposto ci sono quelli come me che credono nel maggioritario e che ritengono sia il popolo che votando debba scegliere non soltanto i propri rappresentanti ma anche a chi affidare il governo.

La seconda scelta da fare è dunque sul governo. E’ questione da lasciare ai partiti oppure lo facciamo scegliere dall’elettorato? Riflettete bene, nel primo caso fatte le elezioni si perde tempo per trovare la formula, incastrare i pezzi e si fornisce un potere di interdizione al Ghino di Tacco di turno, uno che può essere l’ago della bilancia. Una forza minuscola ma decisiva per arrivare alla maggioranza acquista un potere smisurato rispetto ai voti che ha ricevuto (nella Prima Repubblica succedeva a La Malfa (5%); Craxi col 14% sembrava avesse il 70%).

L’Italia, dopo le tre Repubbliche che ha sperimentato, non può permettersi il proporzionale, che è un imbroglio, e neppure un maggioritario puro come vuole Salvini, che è troppo drastico. Serve il doppio turno. Vale a dire il doppio turno di lista, cioè il vecchio Italicum in versione costituzionalizzata. Perchè? Perchè soltanto questo modello garantisce rappresentanza e stabilità. Un maggioritario all’inglese o un proporzionale assoluto sarebbero un disastro. In un paese dove la durata media dei governi è 14 mesi, la stabilità è un requisito indispensabile per governare bene.
Una volta deciso se sia preferibile il sistema proporzionale o piuttosto quello maggioritario con il doppio turno, l’ulteriore riflessione che uno deve fare riguarda il concetto di “male minore”.

Se analizzate la politica del Pci prima e del pd poi vi renderete conto che c’è sempre un ragionamento borderline, uno schema ripetitivo che ha a che fare con la machiavelliana idea che ottenere risultati virtuosi giustifichi i mezzi “ambigui” utilizzati. Sto con i populisti solo per evitare che arrivi l’orco cattivo Salvini. Voto la Raggi per evitare un allarme democratico. La sinistra proporzionalista italiana usa sempre l’argomento del “meno peggio”, della prevenzione di un danno maggiore. Kant, come è noto, sosteneva che non si è autorizzati a dire una bugia neanche per prevenire un omicidio. Mentre Max Weber distingueva l’etica della convinzione dall’etica della responsabilità: la prima è propria dell’uomo che – in termini religiosi – opera per il bene e non si cura delle conseguenze, mentre la seconda ha a cuore ciò che deriva dall’azione e che l’azione produce. In “Radici”, un romanzo di Alex Haley, si trova una rappresentazione icastica di questo ragionamento morale: un uomo bianco è costretto a frustare uno schiavo suo amico per evitare che egli venga frustato dai suoi padroni più crudelmente. L’uomo bianco che frusta il suo amico è un pragmatista, poiché guarda al risultato.

In realtà la politica non è la vita dove spesso siamo chiamati a scegliere tra “mali” di diversa entità. La teoria del meno peggio alla quale ricorre la sinistra proporzionalista in realtà è un imbroglio perchè vuol far credere che devi fare il male per prevenirne uno più grande. “Non abbiamo alternative, tu ce l’hai?”, è la giustificazione anche oggi del finto pragmatista, il quale pensa di ragionare sempre sulla base del “tutto considerato”. Si trastulla con le parole di Enrico IV “Parigi val bene una messa” , cioè talvolta occorre una rinuncia per ottenere ciò che desideriamo, e in ogni occasione c’è un rospo da ingoiare, un naso da turare. Ma è vero? Certo che no, è un gioco di prestigio, tutto qui, un’astuzia ormai senza senso.

Sgombriamo il tavolo allora e guardiamo la questione da un altro punto di vista. Da quello del male peggiore, appunto. Se ci fa tanto paura, cerchiamo di capire la sua forza, per batterlo dobbiamo studiarlo bene. Perché Salvini in questo momento storico ha consenso (come è già avvenuto per Berlusconi, Craxi e via via per altri uomini di potere che li hanno preceduti)?
E’ abbastanza chiaro. Perché la gente che lo ascolta capisce da che parte sta su tasse, sicurezza e immigrazione. È chiaro, puoi non condividerlo, ma sai quando lo voti cosa voti.

Al contrario, il partito di Zingaretti ha un elettorato ancora molto radicato, ma ha perso capacità di narrazione, non ha idee, non trasmette identità, non comunica un profilo deciso. Chiunque abbia un pochino di dimestichezza con la “comunicazione politica”  lo capisce. *

Si caratterizza per l’appoggio all’Europa e l’accoglienza ai migranti. Punto. Su tutto il resto svicola, è molto vago, a cominciare proprio dal populismo prima nemico e poi alleato, basta far l’esempio recente del prossimo referendum sulla riduzione dei parlamentari dove il pd sarà costretto a lasciare libertà di coscienza nel voto perchè diviso al suo interno. O sul Mes, sul debito pubblico, l’Alitalia, la semplificazione, il mercato,  l’evasione fiscale, il welfare e mi fermo per esser breve.
Per essere competitivi elettoralmente devi avere un profilo forte e sui temi decisivi una posizione ben delineata e raccontata. Se il segretario dice A e un altro dopo due ore dice B, l’opinione pubblica viene disorientata, ma insomma, che volete A o B? Per capirci, non puoi accettare “quota 100” e “ reddito di cittadinanza” fingendo di non sapere che stai segando le generazioni  future. Non puoi fare della scuola una priorità nazionale e però pensare di co-gestire tale istituzione con i sindacati che vogliono precari ed ingressi senza concorsi, nessuna valutazione del personale, risorse a pioggia per tutti. Insomma, chi sceglie il maggioritario sogna una forza riformista che sappia (comunicare) bene cosa vuole senza ambiguità, e se andrà al governo farà le 3 cose importanti che ha proposto stando all’opposizione. Una forza riformista non è mai “contro” qualcuno ma sempre “per” qualcosa. I barbari alle porte, l’orco cattivo o l’uomo nero che stanno per arrivare se non dormi o non mangi la minestra sono personaggi adatti alle favole che si raccontano ai bambini.

* “E’ come una partita a scacchi. Lo scopo delle elezioni è far sembrare tutto semplice, limitarsi a pochi argomenti e far sembrare l’avversario un idiota” (dalla serie tv danese BORGEN, su Netflix)

(Boeri e Perotti, Repubblica, 23/10/21) Nel marzo 2000 Berlusconi dichiarò “il maggioritario ha fallito”, riferendosi al Mattarellum, la complicatissima legge elettorale allora in vigore (in realtà un miscuglio di proporzionale e di maggioritario). Nel giugno dello stesso anno cambiò idea e si dichiarò a favore di un rafforzamento in senso maggioritario del Mattarellum. Ma nel 2005 il suo partito, con la Lega e Alleanza Nazionale, votò per adottare il Porcellum, altro meccanismo infernale (qualche mese dopo il senatore leghista Calderoli, suo promotore, lo definì “una porcata”) che sterzava nettamente in senso proporzionale. Nel 2015 per alcuni mesi Berlusconi appoggiò l’Italicum di Renzi, col suo forte premio di maggioranza. Poi cambiò idea e ne divenne un convinto detrattore. Ora la stessa coalizione, con Fratelli d’Italia al posto di Alleanza Nazionale, vuole a tutti i costi il maggioritario. Il lettore che ha perso il conto delle giravolte è scusato.

Non che il centrosinistra sia stato molto più coerente nel tempo, anche se almeno ha la giustificazione che ha cambiato spesso leader. Fino a poco fa era per una componente maggioritaria più o meno forte, ora sembra propendere per il proporzionale.

Un partito uniformemente molto forte in tutte le regioni sarà a favore di un maggioritario su base nazionale; un partito di maggioranza nella regione A e molto debole nella regione B sarà a favore di un maggioritario su base regionale, perché rispetto al proporzionale si prende tanti rappresentanti nella regione A e ne perde pochi nella B. I piccoli partiti sono ovviamente a favore del proporzionale, su base regionale o nazionale a seconda della loro diffusione.

Questo spiega perché lo stesso partito cambi opinione ogni due anni, a seconda di quanto i sondaggi dicono sulla sua forza relativa nelle varie regioni, e delle alleanze in corso. E spiega anche perché dal 1993 ad oggi per cercare di coprire tutti gli angoli le coalizioni di governo abbiano sfornato quattro leggi elettorali, senza contare gli interventi della Consulta (nessun altro dei maggiori Paesi occidentali cambia così spesso), una più complicata dell’altra, incomprensibili anche alla stragrande maggioranza dei deputati e senatori che le hanno votate.

Una legge elettorale ideale deve avere alcune caratteristiche: rappresentare la diversità delle opinioni nel Paese, assicurare la governabilità, evitare una eccessiva polarizzazione nel Parlamento, essere semplice e chiara al cittadino; infine deve essere “democratica” nel senso etimologico, cioè deve dargli la scelta. La prima caratteristica è in parziale conflitto con la seconda e la terza: se una Camera è composta da 400 membri, un sistema perfettamente proporzionale con circoscrizione nazionale assicura la presenza di qualsiasi partito che abbia preso almeno un quattrocentesimo dei voti totali. Questo massimizza la rappresentatività, ma riduce la governabilità perché fa entrare una miriade di partitini in Parlamento, ciascuno con le sue richieste e talvolta un potere ricattatorio; inoltre aumenta la polarizzazione, perché assicura una rappresentanza anche ai partiti più estremisti, per quanto piccoli siano.

Un sistema maggioritario può essere pensato come un sistema che “premia i partiti più forti” rispetto a una ripartizione proporzionale. Ci sono tanti modi per farlo, e con diverse gradazioni. Il sistema tedesco, un proporzionale con una soglia di sbarramento, ha un elemento di maggioritario perché premia i partiti sopra la soglia, ed elimina i partiti sotto la soglia. Il sistema uninominale inglese solitamente elimina più partiti: solo quei pochi che possono risultare primi in almeno qualche circoscrizione saranno rappresentati. Nel sistema a doppio turno francese anche un partito che arriva al massimo secondo in qualche circoscrizione, che nel sistema inglese non sarebbe mai rappresentato, può aspirare ad avere alcuni deputati, grazie al gioco delle alleanze al secondo turno. Il sistema francese è anche efficace nel raggiungere il terzo obiettivo, ridurre la polarizzazione in Parlamento, perché il secondo turno riduce il potere contrattuale degli estremisti.

Insomma il sistema elettorale perfetto non esiste. Ma le ultime due caratteristiche sono irrinunciabili. Il sistema elettorale deve essere chiaro e semplice: quando metto una crocetta sulla scheda devo sapere per chi e cosa sto votando.

Questo è vero per i sistemi tedesco, inglese e francese, ma non per i mefistofelici sistemi con cui abbiamo votato negli ultimi trenta anni, neanche per il Rosatellum in vigore attualmente. In teoria è una combinazione abbastanza semplice di circa un terzo di posti assegnati con l’uninominale e due terzi con il proporzionale. Ma poi può succedere di tutto. Per esempio, anche se in teoria c’è una soglia minima al 3 per cento, un partito che raccolga almeno l’1 per cento trasferisce i suoi voti alla coalizione, e può persino eleggere un suo esponente (magari già bocciato in un collegio uninominale) se viene messo in alto nelle liste bloccate.

Quanti elettori erano consapevoli di questo meccanismo alle ultime elezioni? Il sistema elettorale deve anche essere “democratico”: il che è incompatibile, appunto, con il sistema “bulgaro” delle liste bloccate.
Per quel che vale, l’avversione di chi scrive per un proporzionale puro dovrebbe essere evidente. Ma qualunque sistema si scelga, che sia semplice e chiaro. E mettiamo in Costituzione la clausola che qualsiasi cambiamento alla legge elettorale entri in vigore almeno cinque anni dopo l’approvazione, così da scoraggiare chi salta fuori con una nuova proposta per avvantaggiarsi subito di ogni nuovo sondaggio favorevole. C’è già troppa disaffezione al voto in giro. Non aumentiamola con regole di voto modificate a ogni tornata e incomprensibili a tutti, a partire da chi le ha volute.