Quando il prof Orsini faceva l’agit-prop di quella gran sòla di vaccino russo

(carmelo palma) Quando esattamente due anni fa, il 22 marzo 2020, accolti in pompa magna dal ministro Luigi Di Maio, sbarcarono a Pratica di Mare i componenti della missione “Dalla Russia con amore”, per soccorrere l’Italia travolta dal Covid, si ebbe una prima e plateale dimostrazione di quell’uso geopolitico del palcoscenico pandemico da parte del Cremlino, che sarebbe presto proseguita con la saga di Sputnik, il vaccino russo per salvare il mondo.

Gli oltre cento militari che, appena scesi dagli Ilyushin, iniziano liberamente a scorrazzare per l’Italia per poi puntare sul focolaio di Bergamo, protetti dalla speciale immunità di designati uomini della provvidenza, furono infatti solo una anticipazione della truffa che sarebbe proseguita su scala europea con Sputnik.

Si trattava di un contingente composto per meno di un terzo da figure sanitarie e guidato dal generale Sergey Kikot, un esperto di guerra batteriologica, che, come ha raccontato Jacopo Iacoboni, aveva difeso Assad dall’accusa di avere utilizzato armi chimiche presso la Corte penale internazionale dell’Aja. Il contingente russo portò in regalo alla Protezione civile mezzo milione di mascherine, centomila tamponi e trenta ventilatori, peraltro difettosi.

Cioè niente, anzi meno di niente, considerando che il soggiorno dei militari russi venne interamente spesato dal governo italiano, che pagò pure il carburante dei loro aerei. Un mese e mezzo dopo, cioè il 7 maggio 2020, i russi se ne andarono lasciando dietro di sé qualche domanda sul senso della loro presenza e suscitando il dubbio, rilanciato recentemente dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che quella oscena passerella potesse nascondere anche un’attività di intelligence, oltre che di propaganda.

Propaganda che è proseguita circa un anno dopo con il vaccino Sputnik, con la partecipazione attiva, volontaria o involontaria, per complicità o stupidità, di molti rappresentanti del ceto politico italiano, da Vincenzo De Luca che ne invocava l’autorizzazione da parte dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) «contro ogni tipo di ricatto delle case farmaceutiche» a Luca Zaia, che diffidava l’Ema a uscire «dall’ideologia legata ai vaccini»

Il massimo della compromissione fu quello della Regione Lazio, il cui assessore alla Sanità Alessio D’Amato a marzo dello scorso anno ammoniva l’Europa «a fare l’opzione sul vaccino Sputnik, ci sono 50 milioni di dosi disponibili. Se non lo farà l’Europa lo farà l’Italia e se non farà l’Italia lo farà il Lazio».

La Regione Lazio sottoscrisse anche un memorandum insieme all’Istituto Spallanzani di Roma e all’Istituto Gamaleya di Mosca per la cooperazione scientifica sul vaccino Sputnik, di cui venne ipotizzata la produzione in Italia. Cooperazione interrotta dopo l’invasione dell’Ucraina, ma che non aveva nel frattempo dato alcun esito apprezzabile, neppure sul piano della ricerca

A distanza di un anno dallo stracciamento di vesti sul vaccino russo, questo non è ancora stato autorizzato dall’Ema, vista l’indisponibilità della Russia a sottoporsi agli standard e alle procedure di verifica previste dalle autorità di farmacovigilanza europee. Ma anche in questo caso la Russia anziché ammettere un’inadempienza ha lamentato un’odiosa discriminazione, secondo la modalità classica del regime putiniano, che col vittimismo copre o assolve le vergogne della menzogna, quando non della violenza.

Il vaccino miracoloso, che, al di là di ogni considerazione su efficacia e sicurezza, era chiaro fin dall’inizio i russi non avrebbero potuto produrre in quantità utili alle esigenze europee, ha avuto un battage pubblicitario chiaramente teleguidato da Mosca. E quindi non stupisce che vi abbia avuto un ruolo anche chi, fino a poche settimane fa, era un poco conosciuto docente di sociologia, e che oggi è diventato la voce ufficiale della campagna per la resa ucraina, cioè il professore Alessandro Orsini, direttore e fondatore dell’Osservatorio sulla sicurezza internazionale della Luiss e della relativa testata on line.

Questa testata, che in teoria dovrebbe occuparsi di politica internazionale e di studi strategici, oltre a ospitare veline ufficiali e neppure troppo camuffate delle posizioni del Cremlino sull’intero scibile umano, è diventata lo scorso anno un vero bollettino del soft power vaccinale russo. Solo tra il febbraio e l’aprile del 2021 si contano una quindicina di dispacci sul «primo vaccino contro il COVID-19 al mondo», sul suo successo in Venezuela (efficacia al 100%!), in Nicaragua o in Iran, sull’interesse dei paesi Ue, sui pregiudizi dell’Ema, e sulle campagne diffamatorie da parte degli Stati Uniti.

Nel complesso, come potrà verificare chiunque accedendo al motore di ricerca della testata, già un anno fa Alessandro Orsini faceva l’agit-prop delle tesi care al Cremlino. Prometteva bene e infatti la storia gli ha offerto l’occasione di mettere direttamente la faccia sulle verità alternative moscovite.

Cosa che può continuare liberamente a fare – è sempre il caso di ricordarlo – perché alle nostre latitudini politiche si è disposti come Voltaire, se non a morire, perlomeno a soffrire perché i liberi e disinibiti difensori delle ragioni di Putin conservino la cattedra, anziché perdere la vita, e finiscano tutti i giorni in TV, anziché finire all’ergastolo in un gulag.