L’apologo della rana e dello scorpione ce lo ricorda sempre, non si può rinunciare alla propria natura. (linkiesta) Ecco perchè lascia molto a desiderare anche il modo in cui il Partito democratico tenta ora di liquidare l’imbarazzante rapporto con i cinquestelle. Dispiace dirlo – si fa per dire – ma non regge la teoria dell’errore imperdonabile compiuto da Conte sulla fiducia al governo, come se si fosse trattato di un fulmine a ciel sereno, e non della scelta più naturale e coerente con l’intera storia di quel movimento.
Conte e il suo partito hanno compiuto scelte ben più imperdonabili del non votare la fiducia a Draghi, a cominciare dal varo di quei decreti sicurezza che ora Matteo Salvini rilancia e mette al centro della sua campagna elettorale. Al sedicente progressista Conte bisognerebbe ricordare questo, anzitutto. Il problema è che a quel punto bisognerebbe ricordare anche quanto tempo il Pd ha tergiversato prima di intervenire per cambiarli, quei decreti, mentre eleggeva il loro coautore a «punto fortissimo di riferimento» di tutti i progressisti, secondo l’indimenticabile definizione di Nicola Zingaretti (solo in questi ultimi giorni parzialmente ritrattata).
La teoria dell’errore imperdonabile – e imprevedibile – serve dunque a giustificare e a rimuovere tutto il resto, a cominciare dalla bislacca teoria del «campo largo». Ma in politica, come nella psicanalisi, il rimosso, proprio perché non elaborato, tende a ripresentarsi in forma nevrotica. Salutato Conte, per un centrosinistra rimasto improvvisamente senza campo, non dovrebbe risultare meno imbarazzante l’idea di costruire un’alleanza contro il populismo che veda in prima linea Di Maio. Il fatto che il ministro degli Esteri, ciò nonostante, sia da tempo al centro di attenzioni e corteggiamenti trasversali ci dice a quale punto siamo arrivati. E questa non è l’ultima delle ragioni per cui il centrodestra può guardare con fiducia alle prossime elezioni, contrariamente al resto degli italiani.