(19/10/2022) Poteva accadere ed è accaduto. La morte del dottor Raffaele Caparello, medico di base in pensione di 72 anni, ha confermato le carenze denunciate da tempo, in particolare da Saverio Ferrari, medico convenzionato del 118 dell’Asp di Catanzaro che lavora nella Pet, Postazione di emergenza territoriale di Soveria Mannelli. Da molto, troppo tempo, Ferrari sta lanciando l’allarme in merito alla mancanza di medici sulle ambulanze, sottolineando la demedicalizzazione dell’area lametina (Lamezia, Falerna, Soveria Mannelli e Maida), un territorio di circa 200mila abitanti che comprende anche altre zone montane e del Catanzarese. Mentre è in corso una lite giudiziaria che riguarda una indennità tolta ai medici del 118 e che Occhiuto ha ripristinato aumentandola, il problema della fuga dei medici dalle ambulanze non si risolve. “In due anni abbiamo perso 30 medici” informa Ferrari “ma abbiamo perso medici giovani capaci e con prospettive. Per rimettere a posto il 118 ci vorranno almeno almeno due o tre anni perché dobbiamo riacquistare una trentina di colleghi che sono andati via. E non è facile reperirli. Anche nei Pronto soccorso si vive un altro dramma; a Vibo l’altro giorno c’era un medico soltanto di turno e in un Pronto soccorso non può lavorare solo un medico di turno. A Catanzaro, al “Pugliese”, sono in due. Lamezia è anche in emergenza. Il 118 che è l’area di emergenza, è stata azzerata e poi succede quello che succede. Purtroppo la situazione è disastrosa, qualunque cosa si faccia oggi, i frutti non si possono vedere”.
A Lamezia Ferrari parla, è stato “ascoltato” su invito della presidente D’Amico dalla commissione sanità del Comune di Lamezia ma le sue parole le disperde il vento. L’ascolto, il confronto, il dibattito, il dialogo, sono strumenti molto calabresi, così come non ci mancano i convegni, anzi si può dire che ogni giorno le questioni sanitarie calabresi si dibattono in ponderosi convegni. Per 12 anni il politically correct ha spiegato che il problema fosse la sanità commissariata in Calabria, adesso che il commissario è il presidente della Regione si usa dire che anche lui, come tutti, non può avere la bacchetta magica. Tra medici cubani e promesse di accertare il debito monstre delle aziende sanitarie entro fine anno, Occhiuto si barcamena con le parole. Ha appena finito di raccontare il mare pulito e adesso immagina che entro il 31 dicembre possa trasformare l’acqua in vino: in sanità non abbiamo più debiti (il pregresso non lo riguarda) ma crediti! Ma è tutto finto, la Regione di ieri e di oggi che su 10 euro di spese correnti ne spende quasi 8 nella sanità, è la prima responsabile della malasanità calabrese.
Se togli alle regioni la competenza sulla sanità, come una politica sana avrebbe dovuto fare da anni, le regioni si afflosciano e tutti i famosi Governatori non sono più Nessuno, non conterebbero più nulla.
In un libro pieno di documenti, dati e numeri incontrovertibili, l’esponente cosentino del Pd Carlo Guccione, già due volte consigliere regionale, dalle parole è passato agli scritti (scripta manent) puntando il dito per lo sfascio della sanità calabrese addirittura verso lo Stato. Ho già appena spiegato che affidare la sanità alle Regioni è stato non uno sbaglio, ma un crimine. Il suo contributo (“Amara verità” lo ha definito) edito da Pellegrini è “ l’impietosa denuncia sui mali della sanità calabrese, il pozzo di San Patrizio, coacervo di interessi e misfatti di ogni genere che nessuno riesce a scandagliare fino in fondo“.
Eccola la domanda cruciale: nessuno riesce a scandagliare. Ma perchè? Dopo 12 anni di commissariamento voluto dallo Stato, i calabresi hanno pagato circa un miliardo di euro in addizionali Irap e Irpef, hanno speso quasi 300 milioni l’anno in migrazione sanitaria ma nessuno ha saputo e sa come ripristinare dei servizi sanitari decenti.
Iole Fantozzi, Giuseppe Profiti, Ernesto Esposito, Antonio Battistini, Agostino Miozzo, tutti i superconsulenti che Occhiuto senza bacchetta magica si è messo accanto per Azienda Zero e per quantificare il debito sanitario, riusciranno i nostri eroi a scandagliare? Per non parlare del superesperto più esperto di tutti gli altri messi assieme, il professor Ettore Jorio nominato da Occhiuto come suo consulente per materie legate ai bilanci e alla sanità.
I proconsoli inviati dalla politica romana sono stati “incapaci” di affrontare il problema, ma dei veri incapaci come i ministri della Salute che abbiamo avuto non potevano certo nominare dei capaci. La magistratura, ben capace di occuparsi da decenni delle varie rimborsopoli regionali per recuperare in certi casi qualcosa come 2300 euro, in Calabria non riesce ad occuparsi per una volta sola di fatture pagate più volte alle stesse ditte, di aziende sanitarie senza bilanci e senza contabilità.
Andiamo al punto senza girarci in tondo. C’è un dato oggettivo che va inserito nella riflessione sulla magistratura italiana, la quale come si sa ha sempre l’ultima parola su tutto quel che succede.
Si pensi a Marta Vincenzi, ex sindaco di Genova, la quale sta scontando, con la messa a disposizione presso i servizi sociali di alcune associazioni, il primo anno di tre, cui è stata condannata, con l’accusa di omicidio colposo, per la gestione dell’alluvione di Genova del 4 novembre 2011, che costò la vita a sei persone, quattro donne e due bambine. Le stesse identiche alluvioni che abbiamo visto in Calabria e nelle Marche.
La domanda che ci poniamo è per quale ragione i giudici trovano sempre un capro espiatorio quando ci sono i morti, e invece per le vittime della mala sanità calabrese non si muove foglia.
Un altro caso, l’ex amministratore delegato di FS e Rfi Mauro Moretti è stato condannato a 5 anni nel processo di appello bis per la strage ferroviaria di Viareggio del 2009, 32 morti, una sorta di incredibile “responsabilità oggettiva” a suo carico per elaborare il lutto nazionale, mentre in Calabria non possiamo registrare una sola sentenza decisiva che abbia cambiato i comportamenti in campo sanitario. Una sola sentenza perchè un giorno gli storici possano dire: da allora c’è stato il punto di svolta.
Per fare un solo esempio, è spesso citato il caso delle sale operatorie di Castrovillari fatte e rifatte più volte, inaugurate più volte, con verbali di collaudo sottoscritti da qualcuno e poi ci si è accorti che mancava persino la previsione del percorso dell’ossigeno. La commissaria dell’azienda ospedaliera di Cosenza come suo primo atto abolì l’ufficio legale dell’azienda, in tutte le Asp non esiste un registro del contenzioso e in tantissime cause l’Asp è stata condannata in contumacia. Ma forse non è abbastanza perchè i pubblici ministeri intervengano a gamba tesa.
Segui i soldi e troverai la mafia, diceva Falcone, ma solo nella punta dello stivale non si riesce a quantificare il debito della sanità calabrese, le ingenti risorse dilapidate, quelle perdute per incuria o incapacità politiche e amministrative, l’importo delle fatture pagate più volte. Segui i soldi e troverai che quelli in bilancio servono a pagare un enorme costo anche generato dalle proroghe delle gare. “L’Asp di Reggio Calabria ha 49 gare prorogate. Dal 2003 abbiamo servizi scadenti a costi elevatissimi. Per la ristorazione la gara si è fatta solo recentemente e per 15 anni abbiamo pagato 2,5 euro in più a pasto rispetto la media nazionale. Moltiplicate per il numero giornaliero di pazienti e potrete farvi l’idea del giro d’affari che ci sta dietro. Il tutto per la mala gestio dei commissari” ha scritto Guccione.
Si invoca un ritorno allo Stato delle competenze in materia sanitaria (come se il referendum di Renzi nel 2016 non lo avesse affossato innanzitutto il pd), si lanciano strali contro i direttori generali nominati dalla politica regionale, manager sanitari ormai fuori controllo e al servizio di chi li ha nominati, ma sono pur sempre montagne di parole e parole che si affastellano. Le parole, i convegni, i libri, non possono scalfire nè preoccupare gli interessi illeciti, chiarire incredibili vicende burocratiche, sanare pronto soccorso ingolfati, assurde attese per cure, esami diagnostici e visite specialistiche, medici e infermieri in numero ridotto costretti spesso a lavorare in condizioni proibitive. Le parole che ogni giorno in Calabria descrivono “i tanti cittadini, increduli e disorientati, ai quali viene negato spesso il diritto di essere curati come in un Paese degno di questo nome dovrebbe essere garantito” sono ormai troppe, demagogiche, insopportabili.
Ci vorrebbe al contrario un grande enorme silenzio squarciato da azioni eclatanti. Quello che succede nella sanità calabrese interessa poco la magistratura ed è invece la conseguenza del laisser faire (laisser faire, laisser passer), espressione francese attribuita all’economista de Gournay che riassume il principio secondo il quale lo Stato non deve imporre alcun vincolo all’attività economica, allo scopo di affermare il postulato della libertà individuale. Magari è sulla base di tale convinzione che lo Stato e i commissari nominati a Roma, i manager sanitari nominati in Calabria e i poteri trasversali che hanno un punto di caduta negli interessi criminali, sono liberi di agire nella piccola regione bruzia dove la spesa sanitaria ammonta a ben 3,5 miliardi e un debito di proporzioni incalcolabili continua a crescere. La sanità è un settore importante per l’economia regionale: le spese correnti della sanità pesano l’11% del PIL calabrese e assorbono il 76% del spese in conto corrente del bilancio della Regione Calabria. Non a caso il delitto Fortugno del 16 ottobre 2005 è stato definito dalla Dda il più importante delitto politico della regione.
Quello che emerge dal libro di Guccione è che in questi 12 anni non sono mai mancati i soldi, ma sono serviti a fare altro. La scommessa è adesso “il Pnrr sanitario, la più grande riforma degli ultimi anni perché sposta l’obiettivo dagli ospedali al territorio”. Solo che saranno altri soldi che, come ammonisce Guccione sfondando una porta aperta, «corrono il rischio di essere usati per tappare le falle del sistema anziché riformarlo alla base». Questo sistema calabrese va bene a troppe persone e cosche per poter essere scalfito con appassionate denunce e anatemi. In uno Stato di diritto basato sull’equilibrio dei tre poteri, due poteri non funzionano e uno (quello giudiziario) è fuori controllo, la Calabria lo dimostra con matematico rigore scientifico.