Un ricordo dell’avvocato Felice Manfredi

La Camera Penale ha intitolato l’organismo di rappresentanza degli avvocati penalisti all’avvocato Felice Manfredi.
“L’avvocato Manfredi, che ci ha lasciati nel 2010, è stato uno dei più grandi penalisti che il foro Lametino abbia mai espresso”, ha affermato l’avvocato Renzo Andricciola, Presidente della Camera Penale di Lamezia.
Felice Manfredi nacque il 5 giugno del 1923 a San Mango d’Aquino, figlio unico di Aurelio, e di Ermida Gentile. Frequentò da convittore il Liceo Classico “Fiorentino” di Nicastro dove nel 1941, in piena guerra mondiale, ottenne la maturità classica.

Si laureò a Roma nel 1945 e cinque anni dopo, nel 1950, sposò la sua ex compagna di scuola, Ida Cianflone, di Sambiase. I suoi figli, Ermida, Aurelio, Carmela e Giuliana sono diventati tutti dei professionisti che hanno saputo onorare il prestigio del padre. La decisione degli avvocati penalisti di ricordare per sempre la figura dell’avv. Manfredi è davvero significativa nel contesto lametino dove svolgere questa professione in presenza di organizzazioni criminali ben radicate è un impegno gravoso.

Non è mia intenzione nè sarei in grado di fare un ritratto dell’avvocato per una attività protrattasi in mezzo secolo, passando per processi che hanno avuto ampio risalto sulla stampa e nella società lametina. Mi interessa soltanto apportare una testimonianza personale che possa cogliere, da piccoli dettagli, un significato per la società lametina, ormai davvero molto diversa rispetto ai tempi in cui l’avvocato ha vissuto e svolto la sua attività.

La prima volta che lo incontrai nacque subito in me la consapevolezza che stavo facendo la conoscenza di un professionista prestigioso. Eravamo nel suo studio, anch’io ero laureato in giurisprudenza  ma insegnavo. Quel giorno, uscito dallo studio, sentii di aver ricevuto una lezione importante: cosa significa essere (non fare) un professionista  a Lamezia. Le nostre famiglie si conoscevano bene perchè sua figlia Ermida era compagna di scuola e amica di mia sorella, dunque incontrandomi l’avvocato ci tenne a sottolineare questo nostro legame, ma poi subito dopo, quando affrontammo una questione professionale, il nostro rapporto si fece formale. In altri termini, già la prima volta che lo incontrai, per avere il suo parere su una questione, mi fu chiaro come l’avvocato separasse nettamente due piani che avrebbero potuto facilmente intrecciarsi. Il piano professionale da quello personale.  Il grande professionista, qualsiasi sia il settore in cui opera, è tale se non mischia i due aspetti, se lavoro e vita li mantiene separati , se distingue il pubblico dal privato, gli amici dai clienti.  L’avvocato, così come l’ingegnere, il medico e qualsiasi professionista che operano nel meridione corrono il rischio di corrompere la professionalità in una società dove ci si conosce tutti e dove tutti possono pretendere tutto. Dove, come ha ricordato Giovanni Falcone, la mafia è stata capace di stravolgere il significato finanche di un sentimento nobile come l’amicizia sino a farlo diventare sinonimo di connivenza e complicità.

Ecco, l’avvocato Manfredi è stato in tutta la sua vita professionista esemplare separando lavoro ed affetti. Quando ormai pensionato si mise a scrivere per Storicittà alcuni ritratti di suoi amici o di personaggi insigni  della nostra città, questa sua qualità mi apparve ancora più chiara. Quelli che nel gergo giornalistico sono chiamati i cd “coccodrilli”, gli articoli commemorativi, mostrano una tendenza prevalente, quella di parlare di sè con la scusa di voler ricordare un defunto. L’avv. Manfredi, invece, nei suoi ritratti, intendeva essere narratore oggettivo; anche quando parlava di persone di cui era stato buon amico o che aveva conosciuto molto da vicino, la sua prosa, talvolta aulica e ricercata, era quella di un osservatore “esterno”. Un altro elemento curioso che  può confermare il suo essere persona schiva e riservata fu il non volere mai che venisse pubblicato il suo fotoritratto nell’occhiello dei suoi articoli su Storicittà.

Anche per lui dunque va ricordato l’auspicio che fece una volta la scrittrice francese Marcelle Padovani, “mai accontentarsi di appuntamenti commemorativi ben organizzati, ma a poco a poco svuotati di contenuto. Perché il vero ricordo non dovrebbe finire imbalsamato. Dovrebbe, al contrario, avere delle incidenze nella vita di ogni giorno, sociale, politica, individuale, come se oggi fosse uguale a ieri”.