Carriere/ Come fattura l’azienda Veltroni

(Marco Giusti) Sostenuto dalle tante sale e dalla programmazione importante di Circuito Cinema, “Quando” di Walter Veltroni, tratto dall’opera letteraria di Walter Veltroni con Neri Marcoré che si sveglia dopo 31 anni e magari scopre che Walter Veltroni pubblica tre libri al mese e si crede Ettore Scola, incassa ieri 99 mila euro, 14.780 spettatori, per un totale in tre giorni di 166 mila euro.

L’ho visto? No. Magari lo vedrò. Confesso che non mi interessa moltissimo

(Christian Raimo) Come tutta la produzione artistica e intellettuale di Veltroni (i suoi film, i suoi romanzi, i suoi saggi politici, le sue recensioni cinematografiche, le sue poesie, le sue infinite prefazioni, qualunque cosa abbia scritto), anche l’ultimo romanzo di Veltroni, Quando, edito da Rizzoli, è molto brutto, di una tale bruttezza che diventa interessante parlarne per due ragioni: primo per ragionare sul senso della narrativa pubblicata in Italia, secondo per comprendere attraverso il progetto fallimentare di un romanzo, che non è soltanto un vanity project, le ragioni ideologiche che spingono uno degli uomini politici più importanti degli ultimi venticinque anni a realizzare opere così mediocri.

(fs) Quando scrivo, sul Forum tv di Aldo Grasso, qualcosa su Maria De Filippi, quasi sempre il professore commenta: Maria è un’azienda. Una volta mi ha scritto: al posto del cuore ha una cassaforte. E’ vero, ci sono persone che lavorano in tv o nei media che sono (diventate) aziende, piccole o grandi, e quindi quello che fanno non nasce da una idea, intuizione, ispirazione, ma da una logica aziendale.

Veltroni è personaggio pubblico sul quale un giorno qualcuno potrebbe scrivere un romanzo interessante. La storia di uno che diventa un politico potente, sindaco, ministro, segretario del maggiore partito italiano di sinistra, e poi lascia la politica. Dice che vuol andarsene in Africa, invece svolta la sua vita e siccome ha una figlia, che ha studiato cinema in America, da occupare, mette su un’azienda con il suo marchio. Comincia scrivendo articoli sul Corsera, interviste per lo più, ma di tanto in tanto quando lo spirito dei tempi s’impone, non rinuncia a fare il guru, spaziando sui destini del mondo incrociati con quelli della sinistra italiana. Agli articoli aggiunge poi libri, saggistica e romanzi, poi aggiunge documentari (inizia con Berlinguer) e infine si dà alla regia cinematografica vera e propria. Una volta si era dedicato alla critica cinematografica con una rubrica su un settimanale, poi ha deciso di passare dall’altra parte.

Di tutta questa produzione rimane nulla, un talento sprecato di uno che voleva fare John Kennedy e poi ha creduto di poter riciclarsi o reiventarsi in Ettore Scola.

Veltroni più passano gli anni e più si pensa in grande, nell’ultima versione si crede Ettore Scola. Cose che succedono, ci mancherebbe, pure Sorrentino si è creduto Fellini e adesso si è aggiunto Salvatores. Com’era quella battuta di Woody Allen? Perchè mi credo Dio? Bè, a qualche modello dovrò pure ispirarmi…

Ma Scola era un genio, Veltroni è un minuscolo giornalista del generone romano che dopo essersi, giustamente, stancato di una politica come quella italiana asfittica e inconcludente, ha pensato di monetizzare. Il tengo famiglia è il tipico connotato italiano che consente di capire quasi tutto. Come Renzi, D’Alema e tanti altri come lui.

Ma voler guadagnare bene non è disdicevole, è mortificante voler fare il cinema (che è arte molto complicata) immaginandosi capace di farlo ad alti livelli. La cosa più difficile per tutti è essere consapevole dei propri limiti, o no? Oppure tutti possono fare tutto, oramai?

Non a caso io dico che in Italia per avere successo ci si può ispirare a Fabio Volo, piuttosto che a Camilleri o Piero Chiara. È la mia versione del famoso aforisma di Troisi: Un giorno da leone piuttosto che cento da pecora ? Non si potrebbe fare 50 da orsacchiotto?