Coltissimi puccettoni/Il liceo classico non esiste e provate a trovare un idraulico il sabato

Elenco non esaustivo degli illusi, degli ingenui, dei puri di cuore che prego di chiudere subito questo articolo e aprire invece Tinder o altri passatempi che non demoliscano le convinzioni nelle quali pascolano sentendosi rassicurati. Dico davvero: se appartenete a una delle seguenti categorie, smettete di leggere subito.

Quelli che si sentono colti perché, invece di dire «fatte le debite proporzioni», dicono «si parva licet». Quelli che pagano con la carta di credito perché non riescono a calcolare, con una banconota da cinquanta euro, quanto resto spetti loro se quel che hanno preso costa trentacinque; però si percepiscono più istruiti della tizia in tv che ha appena sbagliato a pronunciare «sine die».

Quelli che non hanno mai studiato Shakespeare ma ti assicurano con un certo piglio che l’italiano sì è una lingua ricca, mica quei barbari che non hanno neanche il Colosseo. Quelli che ti spiegano che nulla eguaglia l’aver dovuto tradurre dal greco, poi quando un personaggio di “Succession” telefona a un altro per dirgli che il patriarca sta moseying in redazione ti chiedono se per piacere puoi mettere i sottotitoli in una qualsiasi lingua per imparare la quale non tocchi memorizzare una trentina di verbi che sono tutti sfumature di «camminare».

Quelli che non si sono mai chiesti quale fosse il contesto in cui i genitori dicevano loro che il classico apre la mente, e non sono pronti a sentirsi svelare che quel contesto non era esattamente quello d’un cenacolo intellettuale, ma quello della provincia analfabeta del dopoguerra, in cui dire «sic transit gloria mundi» faceva di te il cervellone del paese.

Eccetera. La lista di equivoci relativi al liceo classico, in un paese determinato a percepirsi colto, è infinita. E non siamo mica soli. A gennaio ho assistito attonita al sommo scandalo inglese, in confronto al quale quello della Meloni che loda gli istituti professionali è nulla.

Il primo ministro inglese aveva osato dire che era necessario i puccettoni inglesi studiassero matematica fino a diciott’anni. Il ripristino del servizio di leva avrebbe generato reazioni meno scomposte. «Che coglione. Vuole un esercito di robot che siano buoni solo a inserire dati. E i ragazzi cui non piace la matematica? A me la matematica fa schifo, e non mi è mai servita», ha detto in un video girato con toni che sarebbero stati sensati per scelte politiche meno condivisibili Simon Pegg, attore di “Mission: Impossible” e probabilmente incapace di calcolare il resto quando va a comprare le sigarette.

È stato allora che mi è venuto il primo dubbio che, tra le moltissime ragioni per cui nessuna sinistra vincerà mai più le elezioni avendo lasciato tutta la sensatezza alla destra e avendo deciso di dedicarsi a rincorrere temi di cui interessa solo ai perdigiorno dei social, c’è anche la mistica delle materie umanistiche.

Ovviamente c’è anche l’elemento della morte del contesto: cosa deve dire, la Meloni in visita a Vinitaly, fiera del vino che per carità sarà un prodotto culturale ma forse se hai fatto l’agrario hai due nozioni in più su come vendemmiare – cosa deve dire? «L’istituto agrario è frequentato da scarti della società che, visto che l’ascensore sociale non funziona, non hanno avuto accesso al sogno d’ogni bambino, che come sappiamo è l’aoristo»?

Ma, soprattutto, c’è il pavlovismo di chi corre sui social a dire vergogna, siete proprio fascisti, volete un elettorato di camerieri, volete mandarli all’alberghiero perché così, senza la vera cultura, non si emanciperanno. Sentendosi emancipati loro. Loro che si mettono il voto dell’esame di maturità fatto trent’anni prima nei curriculum, tanto è il niente che hanno combinato successivamente. Loro che non chiederebbero mai «ma per poi fare cosa» al figlio che s’iscrive a filosofia, e se poi la società non accorre a offrire posti di lavoro al loro coltissimo puccettone che aveva 8 in traduzione di Sofocle e adesso ha persino preso 29 in ermeneutica, beh, vuole dire che è una società sbagliata, che è una società che opprime i talenti, e soprattutto, diciamocelo, una società fascista.

Naturalmente nessuna delle due parti, quella che invoca il recupero di reputazione sociale degli istituti professionali, e quella convinta che esista un diritto costituzionale a frequentare il liceo classico, dice cose sensate.

Io, a Vinitaly, avrei chiesto innanzitutto quando sia cominciato il crollo della qualità dell’insegnamento negli alberghieri, e come mai a Milano sia impossibile trovare, anche nei ristoranti più costosi e rinomati, un cameriere che ti versi il vino senza sgocciolarlo sulla tovaglia.

C’entrano i ben noti fatti di Massa Lubrense? Dobbiamo invocare a testimoniare Mario Draghi? Concita De Gregorio? Chi, ditemelo, sono disposta a coinvolgere chiunque, è un problema che va risolto, altro che baloccarci col latino, il greco, la filosofia, la storia.

Ma poi: siamo il paese di Angelo Guglielmi e Umberto Eco, è una vita che usciamo dalle facoltà umanistiche ripetendo che non è il cosa ma il come, e ancora pensiamo che un umanista ottuso sia meglio d’un elettrauto sapiente? E, soprattutto: trovare lavoro fa poi così schifo? È così terribile che quel che studi da ragazzino – cioè: quando sei carta assorbente e qualunque cosa ti mettano davanti la impari con facilità e ti resta nei neuroni tutta la vita – un domani ti torni utile per comprarti balocchi e, volendo, corsi di greco antico nel tempo libero?

Parafrasando un certo Woody Allen (che è americano e quindi non ha fatto il classico: mi perdonerete la citazione di matrice inferiore a un qualsivoglia Catullo, che d’altra parte si esprimeva in un secolo senza partite iva), non solo il liceo classico non esiste, ma provate a trovare un idraulico il sabato.