Sull’aereo che lo riportava in patria dal suo viaggio a Pechino, dal quale è tornato con un pugno di mosche ma forse con qualche rassicurazione per gli affari francesi, Emmanuel Macron ha parlato della necessità di autonomia strategica per un’Europa che non voglia essere vassalla né di Washington né di Pechino. Al netto del gergo, che richiama più le illusioni di Asterix che i sogni di De Gaulle, le parole del presidente francese sollevano più di una perplessità. Non certo per la sacrosanta esigenza di una autonomia strategica europea.
Ma per il fatto che teorizzarla in assenza di capacità effettive, nel bel mezzo della guerra in Europa e con la prospettiva che Pechino replichi a Taiwan quanto Mosca sta facendo da un anno in Ucraina, appare più che altro un sintomo di pericolosa confusione strategica. Senza la copertura e il massiccio sostegno degli Stati Uniti, la ferma posizione assunta dall’Ue nei confronti dell’invasione russa, in ottemperanza ai propri princìpi e ai propri statuti, semplicemente, sarebbe stata impossibile o velleitaria. È nella saldezza della relazione transatlantica che l’Unione ripone ancora la sua sicurezza nei confronti della minaccia esistenziale avanzata dalla Russia di Putin. Giova ricordarlo al presidente di un paese, la Francia, che nonostante la sua grandeur e lo status di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, si colloca tra gli ultimi sostenitori concreti dello sforzo militare ucraino.
L’Ue ha prosperato all’interno dell’egemonia liberale degli Stati Uniti, comportandosi spesso come un free rider – un consumatore netto – della sicurezza prodotta dagli Stati Uniti. Sollevare polemiche sullo status del dollaro come moneta di riferimento internazionale dimenticandosi di questo aspetto appare singolare, al netto del fatto che sono state le debolezze e le divisioni intrinseche dell’Unione a impedire all’euro di erodere il ruolo della moneta americana. A Macron andrebbe ricordato che, oltre che vantaggioso per i paesi membri, l’euro ha rappresentato un affare anche per gli Stati Uniti, i quali hanno goduto della stabilizzazione del sistema finanziario internazionale cui l’euro ha oggettivamente concorso. Come dire? Nonostante la concorrenza tra le due valute, la loro cooperazione ha effetti sistemici estremamente rilevanti.
Macron ventila un mondo multipolare – come auspicano Russia e Cina – ma sembra non considerare che, per ora, quello cui stiamo assistendo è un allineamento preoccupante tra Mosca e Pechino nel nome dell’attacco all’ordine internazionale liberale che è imperniato sulla leadership americana e sull’alleanza occidentale. Evocare il multipolarismo e la disarticolazione dell’occidente proprio mentre stiamo osservando la saldatura dei dispotismi è irresponsabile ma soprattutto è sbagliato, quando pretende di dettare oggi un comportamento rispetto a un possibile sviluppo di domani. Come per il passaggio del pallone, l’esecuzione anticipata produce il medesimo fallimento dell’esecuzione ritardata: fa cadere il pallone a terra e offre un vantaggio all’avversario. Piuttosto che proclamare la necessità di un’autonomia strategica, occorrerebbe lavorare per crearne le condizioni, innanzitutto in termini di capacità militari e di comando politico.
Forse Macron pensa che tranquillizzare la Cina sul fatto che l’Europa non prenderà posizione qualora Pechino dovesse decidere di risolvere con la forza la questione taiwanese possa essere una scelta che allontana il conflitto? Mostrarsi divisi e imbelli è stato proprio quello che ha convinto Vladimir Putin a scatenare l’invasione. Dobbiamo davvero pensare che il presidente francese non abbia imparato la lezione? Strano che possa cadere nuovamente in un simile errore proprio lui, che venne umiliato da Putin, con le menzogne che il despota gli recitava sul viso ancora a poche ore dall’invasione.
Può darsi, come sostiene Giuliano Ferrara, che Emmanuel Macron voglia lasciare un segno nella storia, ma il modo maldestro con cui ci sta provando nel corso di questi 14 mesi, rischia di farlo ricordare come un apprendista stregone, capace di mettere in moto processi che poi non sa governare. Non si costruisce la sacrosanta autonomia strategica dell’Unione parlando della necessità di non essere “vassalli di Washington né di Pechino”, omettendo che il primo è un alleato con cui condividiamo valori, istituzioni politiche e libero mercato, mentre il secondo propone un mondo al cui interno i valori occidentali ed europei sarebbero ininfluenti e forse a rischio di sopravvivenza. Una minor centralità americana e occidentale (quindi anche europea) disegna un mondo che sarà meno sicuro per le democrazie, a cominciare da quelle più deboli, cioè dall’Europa. Macron sembra sottovalutare quanto le sue parole, oltre che fomentare discordia e diffidenza transatlantica, spaventino non solo le capitali sulla linea del fronte, ma anche Berlino e Roma, che inevitabilmente si chiedono se la Francia possa offrire quello che Washington offre da oltre 70 anni.
E la risposta, ovviamente, è no. In sostanza sono parole che dividono e che non fanno fare un passo avanti nella giusta direzione di un’autonomia strategica europea: che significa la capacità per l’Europa di difendersi anche quando gli Stati Uniti hanno Trump alla presidenza, non nel prendere le distanze da Biden contro minacce comuni all’intero occidente.
Sembra di vedere purtroppo ben poco di nuovo e interessante nelle parole del presidente francese, al di là di un gollismo fuori tempo massimo e dell’eterno velleitario gallismo. Ma rispetto al pensiero di De Gaulle, quello articolato dal suo ultimo, pallido emulo rappresenta un passo indietro persino nella comprensione che nel mondo di oggi (globale, seppur divergente) ci si possa ancora illudere che quanto avviene nello Stretto di Taiwan non abbia conseguenze in e per l’Europa. E viceversa. La sensazione, allora, è che Macron abbia voluto rilasciare dichiarazioni tanto fragorose per nascondere il buco nell’acqua, in termini strategici, del suo viaggio a Pechino. Che poi il rancore per l’affare sfumato della fornitura dei sommergibili francesi all’Australia abbia giocato un ruolo non è da escludere, ma non è certo stato il fattore decisivo. Prima però la Francia si toglie dalla testa che una Ue senza più Londra al suo interno possa divenire il docile strumento della sua politica estera che Parigi ha sempre agognato, meglio sarà per tutti.