Brad Pitt e Ben Affleck, come puntare sui propri limiti

Ricordate quando Sergio Leone disse di Clint Eastwood “Ha due espressioni, una col cappello e un’altra senza”? Ci sono attori molto belli che recitano con qualche difficoltà, perchè hanno una faccia inespressiva. Talvolta poi l’essere belli sembra essere, agli occhi della critica, un limite oggettivo alla recitazione.

Prendiamo Brad Pitt (1963), apparve la prima volta il 1991 in una particina di Thelma & Louise. Da quella prima volta è sembrato che fosse troppo bello per saper recitare e invece non solo è un attore credibile, è intelligente: col tempo ha voluto fare il produttore e ha vinto due Oscar: uno per aver prodotto il film 12 anni schiavo (2013)  e l’altro come miglior attore non protagonista per C’era una volta a…Hollywood (2019) di Quentin Tarantino. Tarantino non a caso gli cuce il ruolo di Cliff Booth, una controfigura nel cinema, mentre per l’attore protagonista, Rick Dalton, sceglie Di Caprio (1974). Lui si affida a Quentin e arriva all’Oscar.

Prendiamo Ben Affleck (1972), il quale ha vinto un Oscar con Matt Damon nel 1997 per la sceneggiatura originale (Will Hunting- Genio ribelle), e un altro come produttore e regista di “Argo” (2012). Come attore invece i Razzie lo prendono sempre di mira come attore-cane, nominandolo più volte e non hanno tutti i torti, perchè la sua faccia è veramente rigida, inespressiva. Con la barba o senza. Solo che il personaggio il cervello ce l’ha ed è il primo a capire (e accettare) il suo problema di recitazione. Non è che nella vita tutti possono fare tutto, come pensa Beppe Grillo.

Tant’è vero che quando il regista David Fincher lo utilizza in “Gone girl- L’amore bugiardo” (2014) si mette a disposizione e fa diventare la sua inespressività l’elemento fondamentale della storia. Deve recitare un marito la cui moglie è scomparsa e tutti gli indizi convergono sulla sua colpevolezza. Sotto le luci delle televisioni dalla sua faccia non traspaiono (come al solito) emozioni e quindi il pubblico guardandolo lo crede ancor di più colpevole. Lui appare quel che è, (im)perturbabile, con un sorriso che appare finto e quindi Fincher utilizza i limiti espressivi dell’attore per fargli interpretare un personaggio della finzione. Geniale.

Ben Affleck

Tutti gli attori belli è come se scontassero un pregiudizio, sono belli ma saranno anche bravi? (così come le attrici, vedi Marylin). Si pensi a Mattew McConaughey che dopo aver accumulato troppi ruoli in film brillanti dovette decidere di non accettarne più per dare una svolta alla sua carriera e cominciò a recitare ingrassando o deturpando la sua bellezza (come ha fatto anche la bellissima Charlize Theron). Lo stesso attore inglese Hugh Grant non vedeva l’ora di invecchiare e avere le rughe per smetterla con i ruoli di bellimbusto. Adesso comincia a fare ruoli da cattivo o da perfido. Solo che Grant o McConaughey sanno recitare ed era la loro beltà a limitarli nei ruoli, Affleck invece non sa recitare per cui può interpretare solo spie, o personaggi ambigui, la cui impassibilità è al servizio del bene o del male.

Ci sono attori magnifici la cui arte recitativa consente loro di variare e avere ruoli molto diversi. Il primo nome che viene in mente è sir Antony Hopkins (1937), capace di interpretare il cannibale Hannibal o in Quel che resta del giorno di Ivory (1993) il maggiordomo Stevens, perfetto e impeccabile, che è continuamente agli ordini del padrone di casa, e che sembra vacillare solo quando la governante della casa gli confessa il suo grande amore. Oppure Robert De Niro, capace di passare dal Noodles del film di Leone C’era una volta in America (1984) al pugile La Motta di Toro scatenato (1981) all’ex spia della Cia nel comico Ti presento i miei (2000).

C’è insomma chi può passare agevolmente da ruoli drammatici a quelli comici e c’è chi invece deve saper accettare i suoi limiti espressivi. Solo comico oppure solo cattivo, oppure sempre uguale a se stesso, il solito cane di sempre, Nicolas Cage.