La Calabresitudine di “Io e mio fratello” di Lucini

Questa non è una recensione del film di Luca Lucini (vedibile su Prime Video), perchè (su Movieplayer) Paola Casella, per esempio, l’ha già scritta: Una commedia romantica gradevole e scritta con agilità e misura ma dall’estetica convenzionale. Il mio giudizio però coincide perfettamente con quello che ha scritto Gabriele Niola su Badteste, ma vorrei parlare d’altro.

Ho visto l’intero film perchè prodotto della Calabria Film Commission e quindi perchè mi interessava l’estetica, appunto, la location. Ho riconosciuto Altomonte con il suo rinomato albergo dove si svolgono tanti matrimoni e la spiaggetta dell’Arcomagno a San Nicola Arcella, nella incantevole zona della Calabria detta Riviera dei Cedri.

Dal momento che questo è un prodotto della ditta Saccà (Agostino e Giuseppe) e la storia giovanil-moderna è ambientata nel nostro paesaggio, la domanda che mi facevo da spettatore era la seguente: qual è il metro per poter giudicare, in termini aziendali, fruttuoso l’investimento della Calabria Film Commission? Il successo commerciale del film? O il giudizio della critica?

Mi immaginavo, mentre vedevo il film, le parole che produttore e regista avranno usato per chiedere il finanziamento. Certamente avranno esaltato il tema portante del film, che sono le storie d’amore d’oggi dove ci possono essere anche due mogli o due mariti; ma anche avranno esaltato la leggerezza della confezione, dove Teresa Mannino, Lunetta Savino e Nino Frassica si impongono alla grande sui giovani interpreti,  tra i quali però c’è un Claudio Colica davvero da annotarsi per il futuro.

Quello che produttore, sceneggiatori, regista, pur con le migliori intenzioni, non hanno potuto (saputo) “inventare” nella storia raccontata e ambientata in Calabria, è il nostro buco nero: come produrre ricchezza, come far rendere l’agricoltura? Eppure nel cosentino, dopo il crotonese, le aziende vitivinicole stanno trovando sempre più spazio nel mercato e sulle nostre tavole buoni vini compaiono sempre più spesso. Ecco allora che il film di Lucini per questa sua estraneità (voluta o meno) dalla realtà calabrese diventa soltanto una favoletta dove alla fine con i buoni sentimenti si aggiusta tutto. Nel nuovo film di Nanni Moretti quelli di Netflix gli chiedono quando scatta il what the fuck (lo stupore di fronte a qualcosa di inaspettato o privo di senso). Domanda, a parte l’ironia, legittima se posta così: ma a stò povero spettatore (come me) quando lo sorprendiamo un po?

Infine. Non poteva mancare in questo film calabrese una canzone di Brunori e  peccato che la produzione preparandolo non abbia approfondito alcuni versi di “La verità”:

Te ne sei accorto, sì/Che parti per scalare le montagne/E poi ti fermi al primo ristorante/ E non ci pensi più.

Brunori in poche parole ha reso immortale la nostra calabresitudine, che non è solo politica, ma esistenziale.