La criptica decisione del Coni e il precedente Meani a favore della Juve

La decisione del collegio di garanzia del Coni, definita «criptica» da uno dei difensori della Juventus, ha smentito certi facili ottimismi della vigilia, che pronosticavano il totale annullamento delle sanzioni ma anche le richieste dello stesso Procuratore generale del Coni, il quale aveva pur sempre richiesto la rivisitazione da parte di un nuovo giudice di tutta la sentenza, seppur limitatamente alle carenze della motivazione delle condanne inflitte dalla Corte Federale.

Prudenza impone di rinviare ogni commento alla pubblicazione delle motivazioni, ma la particolare struttura del dispositivo emesso ieri dal collegio suscita una prima riflessione che poi andrà approfondita.

Come tutti hanno sottolineato, il rigetto dei ricorsi di Andrea Agnelli, Maurizio Arrivabene, Federico Cherubini e Fabio Paratici cala il sipario sulle speranze di cancellazione degli addebiti legati all’accusa di slealtà sportiva (ex art. 4 del codice di giustizia sportiva), alla base della grave sanzione di 15 punti di penalizzazione inflitta al club.

Le Sezioni unite, presiedute da Gabriella Palmieri Sandulli, hanno con certezza superato tutte le questioni legate alla legittimità del giudizio di revisione e della nuova contestazione di slealtà sportiva.

In particolare, hanno ritenuto configurabile l’illecito previsto dall’art. 31 del medesimo codice, con riferimento alla contabilizzazione delle plusvalenze sportive nelle cosiddette «operazioni di compravendita a specchio», che sino a oggi anche diverse pronunce in sede di giustizia ordinaria hanno ritenuto prive di rilevanza penale.

Sotto questi profili la decisione del collegio del Coni stabilisce un precedente innovativo e vincolante per il futuro, soprattutto in riferimento al principio di legalità e di prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie riguardanti condotte pur non espressamente previste dalle norme, ma che ledono i principi decoubertiniani dell’ordinamento sportivo, in linea con la definizione formulata dal presidente della Corte federale Torsello, la cui sentenza è stata annullata.

La definitività delle condanne dei vertici apicali della vecchia Juventus si riflette sicuramente sulla posizione della società a titolo di responsabilità oggettiva, giacché è pacifico che le condotte sleali siano state dei vantaggi per la società.

Eppure, la formulazione generica e sibillina del dispositivo, al momento lascia spazio ad ampi margini di interpretazione.

L’inaspettato e sorprendente fulcro della decisione, infatti, riguarda la separazione delle posizioni di Agnelli e dei suoi stretti collaboratori, da quella degli altri membri del board juventino, che dovranno essere nuovamente giudicati «in ordine alla determinazione dell’apporto causale dei singoli amministratori, fornendone adeguata motivazione e traendone le eventuali conseguenze anche in ordine alla sanzione irrogata a carico della società Juventus F.C. S.p.A.».

Ciò che vuol dire il collegio è che è necessario accertare l’eventuale responsabilità degli altri membri del Cda e specificamente se gli stessi fossero non solo a conoscenza, ma anche in grado di individuare gli illeciti commessi dai vertici.

È la regola fissata nel diritto societario dalla Cassazione dell’agire informato degli amministratori, che possono rispondere dei reati societari solo nel caso ne siano stati informati (ecco spiegato il richiamo all’apporto causale).

Sempre secondo il dispositivo, non chiarissimo, tale circostanza dovrà avere delle «eventuali conseguenze anche in ordine alla sanzione irrogata a carico della Juventus». In poche parole, se i vertici della società hanno agito all’insaputa degli altri membri del Cda e degli stessi organi di controllo interni, bisogna accertare se esista una responsabilità anche a titolo di negligenza di questi ultimi o se l’inganno fosse inevitabile. In quest’ultimo caso bisognerà valutare fino a che punto la società debba risponderne sotto forma di sanzioni.

È noto che anche le società sportive sono sottoposte alla legge sulla responsabilità penale degli enti, la 231/01, sia pure limitatamente al reato di frode sportiva (mentre non sono contemplati gli illeciti del codice sportivo) per cui sono tenute a darsi modelli organizzativi di efficace controllo e prevenzione contro gli illeciti commessi dai suoi legali rappresentanti, in presenza dei quali possono attenuare (se non escludere) le conseguenze sanzionatorie legate ai reati commessi dagli amministratori.

È da ricordare come gli azionisti di riferimento della Juventus abbiano imposto immediatamente le dimissioni dell’intero board, procedendo alle correzioni di bilancio richieste dalla Consob e anche come processualmente il club abbia distinto la propria posizione da quella degli ex amministratori con diversi difensori.

Questo sarà il punto dirimente del nuovo giudizio. Sotto tale profilo esiste un importante precedente, familiare ai tifosi milanisti di buona memoria: il canone Meani. Costui era un ristoratore a cui il Milan di Silvio Berlusconi e Adriano Galliani aveva delegato eufemisticamente i rapporti con gli arbitri durante l’epoca Calciopoli. Alcune sue eloquenti telefonate portarono il Milan sull’orlo della serie B durante il processo, ma la Corte federale, anch’essa presieduta da uno dei tanti Sandulli (Piero) che popolano il panorama del diritto pubblico italiano, stabilì che il Milan venisse retrocesso al quarto posto (dal secondo) in campionato e dunque “condannato” ad affrontare il turno preliminare di Champions League e a una sanzione di otto punti da scontare l’anno successivo. Il Milan vinse la Champions, e quel precedente resta.