Potrà esistere una Rai senza Fabio Fazio? Ve li immaginate Pino Insegno che chiacchiera con Ben Affleck, Obama, Woody Allen, magari spalleggiato da Maurizio Battista che racconta barzellette sui parcheggi delle Smart a Meryl Streep e Lady Gaga? Una figuraccia nazionale, una vergogna (e però che servizio pubblico finalmente un po’ “situazionista”!). Con sei pagine di orazione funebre per Fabio Fazio, Repubblica torna finalmente in gran forma, come ai bei tempi dell’agit-prop antiCav, dei girotondi, dei Palasharp e delle marce dei professori. E’ un “danno alla cultura e all’Italia”. E’ “una destra prenditrice e vendicativa”. E’ una “Rai che sarà un po’ meno Rai”. Riecco l’editto bulgaro, l’epurazione, la censura. La bolla di Twitter chiede a gran voce il “danno erariale” e prepara le barricate per Amadeus e la difesa di Sanremo, ultima casamatta rimasta.
La trattativa Stato-Fazio però era iniziata almeno sette anni fa. Alla Rai c’era Campo Dall’Orto, non proprio un tolkeniano di ferro, e Fazio già pensava di mollare tutto. Lamentava un’ingerenza politica “mai così forte come in questo momento” (al governo c’era Gentiloni). “E’ più difficile rimanere in Rai che andare via, e non è difficile per uno come me trovare un posto dove andare”, diceva. Si parlava già di Discovery, che nel frattempo diventava una specie di Rai Tre per millennial con Crozza, Saviano a braccio sul narcotraffico e le interviste di Peter Gomez.
Anche l’addio a Crozza a La7 fu un altro psicodramma. Come avremmo fatto senza le “copertine di Crozza”? E poi dov’era questa “Discovery” sul telecomando? (oggi Repubblica rassicurava subito i lettori in prima pagina: “Fazio trasloca sul canale Nove”). Già con Crozza Travaglio rovistava dalle parti dell’epurazione: ecco la “desertificazione della tv da ogni talento geniale”, ecco la rimozione del personaggio scomodo che non compiace il potere. Di scomodo c’era doversi spingere oltre le colonne d’Ercole del settimo canale, lì dove finisce la nostra tv generalista e inizia il mondo nuovo. E poi Crozza avrebbe guadagnato il doppio, e con meno stress per le performance da share. Ma ora con Fazio è una catastrofe nazionale. Scopriamo la lottizzazione selvaggia, l’occupazione politica della Rai, l’idea che c’è una “tv di stato” (con Fazio), e una tv “invasa dai partiti” (senza Fazio). Una Rai che non ragiona secondo logiche di mercato, quindi ascolti-pubblico-inserzionisti-talento, ma che è terra di conquista dei governi che piantano e rimuovono le loro bandierine. La striscia di Marco Damilano, pretesa dal Pd, è “tv di stato”. L’addio di Fazio è “invasione della politica”.
Gli va dato atto, a lui Fazio, di avere fatto il possibile per allontanare da sé lo spettro della vittima e dell’epurato. Andrà a lavorare in un gruppo che si è fuso con Warner-Bros, e che non pensa a Meloni o Salvini ma a sfidare Netflix. Ma è stato inutile. Al governo serviva uno scalpo da esibire ai suoi elettori, alla sinistra mancava da troppo tempo un martire. E “Addio Fazio!” era il dramma perfetto per tutti, anche se pare scritto da ChatGPT.