Berlusca/ Giorgio Gori spiega la politica plasmata dalla tv

Giorgio Gori, per tanti anni direttore di Canale 5, attuale sindaco di Bergamo e mio segretario del pd auspicabile, spiega sul Foglio ciò che tanti a sinistra non hanno ancora capito, dopo ben 29 anni dal 1994. Leggete:

La tv, costruita per fare audience, plasma (anche) la politica intorno alla sua natura, le trasferisce la propria vocazione e i codici del proprio linguaggio. La tv commerciale privilegia i primi piani – quindi il volto dei suoi protagonisti, l’efficacia del contatto visivo – e rifugge la comunicazione noiosa. Per “trattenere” – evitare che lo spettatore cambi canale – è costretta a “intrattenere”, e la politica non può che conformarsi a questa regola. O meglio, c’è chi lo capisce e chi no. Ma chi la conosce e la pratica meglio di tutti è l’uomo che quel “mezzo” ha contribuito ad affermare, Silvio Berlusconi.

Fu populismo? Forse sì, ma principalmente perché il mezzo aveva le sue leggi: disintermediazione e personalizzazione, che Berlusconi riempì del suo carattere prorompente. Era l’età d’oro della tv commerciale e fu l’età d’oro di quella politica e di quel politico, che molti furono poi costretti ad imitare.

Fermiamoci un momento a riflettere.

1) Sia disintermediazione che personalizzazione non sono dunque attribuibili alle nefaste intenzioni del traditore Renzi ma sono avvenute “perchè il mezzo aveva le sue leggi”.

2) Mentre in Europa i partiti costituiscono ancora l’asse portante della democrazia rappresentativa, l’Italia si è discostata da tale modello: è l’unica democrazia occidentale che non si fonda su partiti a struttura democratica, come per la verità, prevede anche la Costituzione «più bella del mondo». Di qui per tutti gli ultimi 30 anni il sorgere e il succedersi di una congerie di associazioni, movimenti, gruppi che si costituiscono, si sciolgono, nascono e si rigenerano di volta in volta con diversi leader che tutto decidono con la modalità di un velleitario cesarismo. In tale quadro dell’offerta politica si è reso più facile un voto emozionale di simpatia, con fortissime oscillazioni percentuali, mentre la vaghezza ideologica ha aperto il varco al cosiddetto populismo, che è la cultura politica prevalente nella seconda Repubblica.