Giustizieri digitali, intercettazioni, cafoni in privato

A proposito di intercettazioni giudiziarie, non ho ancora capito (ma sono io ad essere limitato) per quale motivo ciò che ci diciamo in un contesto privato (pensando che nessuno ci ascolti) debba avere valore oggettivo. Con i social, ha scritto acutamente Guia Soncini, abbiamo scoperto (chi l’avrebbe mai detto?) che in contesti che crede privati l’umanità dice cose irripetibili.

Ognuno di noi in una telefonata o in uno scambio di whatts app o su facebook chissà quante volte si è lasciato andare senza freni. Ognuno di noi senza eccezione alcuna in conversazioni private è sicuro che abbia manifestato l’intenzione di commettere reati, di fare un furto, di dare una lezione ad un nemico, di ammazzare qualcuno oppure ha augurato una brutta fine ad un signore. E allora? Tra parole, propositi ed azioni c’è una differenza, o no? Fuori contesto, il Grande Fratello ci deve arrestare tutti perchè tutti siamo potenziali omicidi o rapinatori? Nel momento in cui scrivo, tanti tifosi juventini su telegram manifestano l’intenzione di liquidare in qualsiasi modo l’allenatore Allegri affinchè la squadra si liberi della sua guida tecnica. Li mettiamo tutti sotto stretta sorveglianza per l’incolumità del livornese? Sui social (e sempre più spesso anche nella vita) gli esseri umani non sanno più dire a uno con cui sono in rapporti amichevoli «ma non dire scemenze». Esistono solo tizi antipatici cui diamo addosso per principio (in neolingua: hater); e tizi che invece abbiamo deciso di trovare simpatici e ai quali perciò diamo ragione sempre e comunque (in neolingua: genio).

La mia esperienza sui social è molto limitata e li evito accuratamente proprio perchè se io indico la luna l’interlocutore guarda il dito e mai la luna. Praticando una chat dove si discuteva di calcio osservavo questa dinamica: non era importante ciò che uno diceva, ma chi lo dicesse. Il gruppo era stato formato da Tizio e lui era considerato un genio, qualunque cosa dicesse. Se uno esprimeva un parere contrario a quello di Tizio, diventava ben presto antipatico e gli davano addosso per principio. Appreso questo meccanismo semplicissimo io le poche volte che scrivevo qualcosa mettevo all’inizio un prologo, in cui esprimevo la mia ammirazione per Tizio. Dopo il prologo scrivevo quello che volevo. In questo modo venivo accettato e nessuno se la prendeva con me.

La personalizzazione è dunque il connotato fondamentale dei social. Non si discute di quello che pensa o scrive Caio, ma si discute su Caio. Se Caio viene accettato, può scrivere qualunque cosa, anche cazzate immani.

Qualche settimana fa un pubblicitario ha rivelato una imbarazzante storia che riguarda un’agenzia milanese, dove ci sarebbe stata una chat con ottanta iscritti, tutti e ottanta maschi, che lavoravano colà. In questa chat si facevano commenti grevi sulle femmine dell’agenzia: a questa le farei questo e quello, a quell’altra no perché è un cesso – la solita roba da maschietti che si coprono di ridicolo. (Nessuno, ha scritto Guia Soncini su Linkiesta, è ancora mai riuscito a spiegarmi perché, se un uomo si esprime come un troglodita sul mio conto, a sentirmi umiliata dovrei essere io e non i suoi genitori, la sua maestra elementare, lui stesso).

Qual è la ragione per cui la storia dei pubblicitari ci ha scandalizzato? Il fatto che abbiamo dato uno sguardo ad un luogo di lavoro, e ciascuno ha pensato al proprio ambiente di lavoro.

Ma si tratta, anche, di comprendere che se uno ( o 88 quanti erano nell’agenzia pubblicitaria) pensa di fare una conversazione privata userà sempre toni molto diversi di quelli che adopera in una conversazione pubblica. Quante foto sono state trafugate a personaggi pubblici che avevano nel loro privato scattato foto intime senza pensare che ci sono i ladri? Insomma, nella nostra vita corriamo il rischio di essere spiati o osservati senza volerlo. Nessuno è lontano da occhi indiscreti. Ciò che dovrebbe preoccuparci sono quei pm che con i loro giornalisti di riferimento pubblicano intercettazioni per dimostrare una loro tesi. Vorrei domandare a quei pm: sicuri che nelle vostre conversazioni private siete sempre impeccabili, con un linguaggio corretto, misurato, politicamente corretto?

E’ rimasta famosa in Italia la indegna (perchè ininfluente con qualsivoglia indagine) pubblicazione anni fa sui giornali di una intercettazione di Alessandro Moggi, figlio del direttore sportivo juventino Luciano Moggi. Egli spiegava lamentoso ad un amico che nel tentativo di portarsi a letto la presentatrice Ilaria D’Amico l’aveva portata con un aereo a Parigi e le aveva offerto una cena lussuosa senza riuscire poi nell’intento. Per danneggiare senza vergogna Moggi padre, pm e giornalisti in combutta, hanno sputtanato un signore che non aveva commesso nessun reato. Racconto questo perchè Montanelli diceva che ci sono furfanti che sono anche moralisti ma non c’è nessun moralista che non sia anche un furfante. Se non tenete a mente questa verità di Montanelli non riuscite a capire bene l’Italia.