Sulla tragicommedia all’italiana del Mes il peggiore è proprio Giorgetti

Fa dal febbraio del 2016 il vice-Capitano del Capitano – prima alla Lega Nord, poi alla Lega Salvini premier – e nel suo lungo e fedele accompagnamento l’ha visto trasmutare il leghismo secessionista anti-italiano nel separatismo sovranista anti-europeo, scrivere a caratteri cubitali “Basta euro” sui muri della sede storica di via Bellerio e intrattenere relazioni, più schifose che pericolose, con la peggio feccia politica del continente, a partire da quel notorio statista russo, di cui indossava magliette promozionali e che avrebbe scambiato volentieri, diceva, «per due Mattarella».

Ha fatto il sottosegretario a Palazzo Chigi nella stagione gialloverde, quando sfasciare il bilancio pubblico era considerato un atto patriottico e la minaccia dell’omicidio-suicidio politico dell’euro e dell’Unione europea era lo stile negoziale previlegiato del vice-Conte verde, il Capitano appunto, e del vice-Conte giallo, Giggino d’Arabia, che andavano a battere i pugni sul tavolo di Bruxelles e a pretendere rispetto per le promesse elettorali con cui si erano accattati i voti di milioni di italiani: quota 100 uno, il reddito di cittadinanza l’altro.

Ha fatto sempre lo gnorri: da quando Salvini e i suoi fedelissimi andarono squadristicamente a manifestare sotto casa di Elsa Fornero (era vice-Capitano da poco più di un mese) a quando decretarono la fine del governo Draghi (e molti pensavano – ingenui – che il più “draghiano” dei leghisti si sarebbe messo di mezzo).

Nella Lega in cui Salvini ha fatto politica, lui ha fatto il potere, il ministro a tutto, l’inviato in tutte le stanze dei bottoni in cui i manipoli della Lega hanno abbeverato i loro cavalli, forte di una immagine affidabile (sarà che è laureato, sarà che è furbo) e di una creanza rassicurante. Non si hanno notizie di dissidi con Salvini che non fossero tattici – lui avrebbe staccato prima la spina al Conte I e non l’avrebbe fatto dal Papeete – ma mai di linea, di contenuto, di sostanza.

Ora, apparentemente, Giorgetti scarta di lato: proprio sul Mes su cui fino a ieri non ha mai detto nulla di diverso da Salvini e Meloni, portando a Bruxelles prima una proposta di scambio (rifiutata) sul nuovo Patto di stabilità e poi un no politico motivato dalla indisponibilità del Parlamento (come se il Governo in Italia non fosse l’espressione di una maggioranza parlamentare). Ma lo scarto di Giorgetti è stato, manco a dirlo, giorgettiano. Una nota del suo capo di Gabinetto che dice più sì che no al Mes, recapitato nella commissione parlamentare che doveva votare sulla ratifica.

Di fronte a tutto questo, si deve ritenere che quella di Giorgetti sia una riserva di ragionevolezza a cui affidarsi perché non vada tutto in vacca o un dissimulatissimo accomodamento trasformistico, che rende la situazione ancora più grottesca? Giorgetti apre un fronte nel Governo o semplicemente sguscia fuori da un dossier più grande di lui? Siamo davanti all’affrancamento di questo grand commis leghista o all’ennesima dimostrazione che dal titolare del Mef ci si può aspettare sempre uno scambio tra una rinuncia politica e una rendita di potere, ma mai una presa di posizione responsabile, mai una rottura di quella retorica tossica che ha portato l’Italia al ridicolo di questi giorni, con la maggioranza e il Governo che marcano visita in Parlamento e il Ministro che sta zitto e muto nelle sue stanze?

Propendo decisamente per la seconda ipotesi. La tecnocrazia populista – gli alfabetizzati del Palazzo – che Giorgetti rappresenta perfettamente ha un disprezzo per la politica del tutto peculiare e ritiene che i voti si facciano in un modo e il governo, quando è il caso, si faccia in un altro, ma dissimulando tutto e continuando a rendere omaggio alle scemenze che si dicono per inscemire gli elettori. Quindi si può dipingere il Mes come un babau per anni e anni, ma poi quando ci si trova con le spalle al muro si trova una scusa per approvarlo o magari farlo approvare da qualcun altro. Questo modo del vice-Capitano di gestire il rapporto tra consenso e potere contribuisce al degrado della politica in misura perfino peggiore delle smargiassate ignoranti e violente del Capitano.