ANTONIO GURRADO Per la serie dei casi che fanno notizia per il motivo sbagliato, ecco svettare quello della prof assenteista. La quale è finita sui giornali per avere accumulato vent’anni di assenze su ventiquattro di servizio, salvo venire destituita con sentenza della Cassazione per incompatibilità con l’insegnamento, comprovata da un’attività “carente, imprecisa, casuale, improvvisata”. Questo secondo aspetto ha destato più scalpore, poiché costituisce un’impresa, un record, forse un miracolo: fate un giro nelle scuole d’Italia e contate quanti dovrebbero essere licenziati per incompatibilità con l’insegnamento ma sono sempre, serenamente, in cattedra. La prof assenteista, tuttavia, mica si è resa irreperibile per vent’anni sparendo su un’isola deserta; macché, ha accumulato permessi per malattia, per infortunio sul lavoro, per maternità, per allattamento, per congedo parentale, per la legge 104, per corsi di aggiornamento, per attività di formazione, eccetera eccetera. Tutte giustificazioni previste dalla normativa, quantunque utilizzata in modo a dir poco spregiudicato. Insomma, i titoli sono andati alla Cassazione, che ha sancito che così non si può; ma la vera notizia l’ha fatta la prof, dimostrando che si poteva eccome.
(ERMES ANTONUCCI) La vicenda dell’insegnante di Chioggia che è riuscita a essere assente per un totale di vent’anni su ventiquattro come docente di storia e filosofia alla scuola secondaria (prima di essere destituita dal ministero) ha generato un’ondata di indignazione sugli organi di informazione e sui social network. In molti si sono chiesti: come è stato possibile? Alcune risposte sono giunte dalla sentenza della Cassazione dello scorso 22 giugno che ha rigettato il ricorso della docente contro la destituzione: nei registri riportati nei verbali è documentato il fatto che “la docente, su 24 anni di insegnamento risultava essere stata assente per complessivi 20 anni (di cui i primi 10 totalmente assente e per i residui 14 era in gran parte in malattia, da 40 a 180 giorno per anno), totalizzando, in definitiva, un totale cumulativo di 4 anni di insegnamento”.
Secondo quanto ricostruito da Repubblica, dal 2001 al 2021 la prof ha collezionato 67 certificati di assenza per malattia, 2 assenze per infortuni sul lavoro, 16 permessi per motivi personali, 3 interdizioni dal lavoro per tutela della salute, due congedi di maternità e allattamento, 7 assenze per malattia del bimbo piccolo, 7 periodi di congedi parentali retribuiti, 24 congedi e permessi per assistere familiari portatori di handicap gravi, 5 esoneri giornalieri per la partecipazione a corsi di aggiornamento e formazione. E’ bastata, tuttavia, un’ispezione disposta dal ministero dell’Istruzione dopo le proteste del liceo di Chioggia per accertare “l’incapacità didattica” e “l’inidoneità all’insegnamento” della donna.
I dirigenti scolastici delle scuole dove la donna ha prestato servizio, interpellati dal Foglio, risultano irraggiungibili in quanto “impegnati in commissioni d’esame”. Risulta difficile, dunque, capire come mai l’ispezione da parte del Miur sia stata richiesta – e poi condotta – soltanto nel 2015 e 2016.
Un aspetto della vicenda che non è stato preso in considerazione, ma che invece merita di essere evidenziato, riguarda i tempi con cui la giustizia ha trattato il caso. Nel 2016 gli ispettori inviati dal ministero conclusero il monitoraggio affermando l’inidoneità all’insegnamento della docente, sottolineando una serie di criticità quali: “l’assenza di criteri sostenibili nell’attribuire i voti”, la “non chiarezza e confusione nelle spiegazioni”, “l’improvvisazione”, “la lettura pedissequa del libro di testo, preso in prestito dall’alunno”, “l’attribuzione di voti in modo estemporaneo e umorale”.
Nel 2017 il Miur dispose quindi la destituzione dell’insegnante per l’“assoluta e permanente inettitudine alla docenza”. Da qui prese avvio un lungo iter giudiziario, durato sei anni. La donna infatti presentò ricorso, accolto nel 2018 dal giudice del lavoro del tribunale di Venezia, convinto che l’ispezione fosse stata troppo breve per disporre la destituzione della docente, della quale pur si riconosceva la “disorganizzazione e faciloneria”.
La pronuncia venne impugnata dal Miur, che nel 2021 ottenne ragione dalla Corte d’appello di Venezia. Per i giudici dall’analisi dei documenti “poteva trarsi un giudizio tecnico di modalità incompatibili con l’insegnamento nella scuola secondaria”. Contro questa decisione, l’insegnante presentò ricorso per Cassazione, che lo scorso 22 giugno – dopo sei anni – ha messo la parola fine sulla vicenda, stabilendo: “Il concetto di ‘libertà didattica’ comprende, certo, un’autonomia nella scelta di metodi appropriati d’insegnamento, ma questo non significa che l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni. Una libertà così intesa equivarrebbe a una ‘libertà di non insegnare’ incompatibile con la professione di docente”.
Parole sacrosante, ma che giungono a sei anni di distanza dall’inizio della vicenda giudiziaria. Lo “scandalo” della docente assente 20 anni su 24 è anche lo scandalo dell’assenza di una giustizia rapida nel nostro paese.