Storie di disamori/ Viaggio nei sentimenti e lotta di classe in Temptation Island

Come si passa da prodotto popolare a lessico famigliare? Quand’è che si può dire sancito lo status di non più programma di quelli su cui capitiamo scanalando o recuperiamo in frammenti sul telefono, ma di, come si dice di quella del secolo scorso, appointment tv?

Lunedì pomeriggio ero in un ambulatorio, e il ragazzo che mi stava preparando la fattura chiacchierava con le colleghe, io stavo spippolando il telefono senza ascoltarli quando una frase ha risvegliato il mio inconscio come certi richiami profondi e mi ha fatto capire che avevo imprudentemente preso impegni per la serata.

La frase era: «Inizia il viaggio nei sentimenti». Il viaggio nei sentimenti è il modo in cui Filippo Bisciglia, gestore degli svincoli di Temptation Island, definisce il girare a vuoto dei disgraziati che vanno davanti alle telecamere a parlare delle loro vite sentimentali. Quelli dell’ambulatorio mi hanno rassicurata, «signora, può recuperarlo domattina sulla app», ma io sapevo che non sarebbe stata la stessa cosa: l’appointment tv va vista mentre va in onda.

Quest’anno, al repertorio lessicale dei turisti dei sentimenti, si aggiunge «chi parte per un viaggio non torna mai come prima», frase che prende sul serio il novecentesco luogo comune secondo cui viaggiare ti apriva la mente, smentito dai fatti nell’epoca delle low cost, del turismo di massa, dei weekend a Sharm. Dai viaggi torniamo tutti tali e quali, speriamo con l’eccezione di Manu, che fa il tramviere e che è l’elemento di lotta di classe all’interno di quest’edizione di Temptation.

Manu è Audrey Hepburn in “My Fair Lady”, o Claudio Amendola in “Amarsi un po’”: il personaggio che s’innamora di qualcuno della cui classe sociale non è all’altezza. Solo che, perché Eliza Doolittle funzioni, bisogna che dall’altra parte ci sia il professor Higgins: davvero aristocratico, davvero colto, davvero altro.

Manu parla della sua vita proletaria in cui rinuncia a tutto per portare Isabella al ristorante (in Temptation Island, uomini e donne sono accomunati dal percepirsi sempre come chi fa i veri sacrifici per l’altra metà della coppia, è tutt’un «io ho rinunciato a tantissimo» di gente il cui sacrificio è trasferirsi da Salerno a Rieti); e tu ti aspetti che dall’altra parte ci sia qualcuna che, come Virna Lisi in “Amarsi un po’”, possa dire «noi c’abbiamo quattro papi nell’albero».

Invece Isabella è una qualunque milanese media aspirante Ferragni, esteticamente media, socialmente media, col tatuaggio sul mignolo e un’autobiografia di rabbrividente banalità arcimilanese: «Sono laureata in marketing e comunicazione e lavoro presso alcune agenzie di eventi».

Isabella dice che insomma, lei agli amici di Manu non ha granché da dire, e non si può non pensare a Tahnee Welch che va nella piscina comunale e familiarizza con Micione, per amore di Amendola. Isabella non ha la sicurezza sociale che Virna Lisi sintetizzava in «stiamo in piedi da duemila anni», e non si mescola: mica è pronipote di pontefici, porella.

Se a una cosa può servire questa edizione del programma, è all’emancipazione economica di Manu, che dopo l’esposizione televisiva mica sarà l’unico che continua a fare il tranviere. Inaugurerà profumerie e discoteche, come tutti, sarà finalmente benestante, come tutti, e potrà finalmente fidanzarsi con una qualunque come Isabella, ma che non si percepisca pronipote di pontefici senza esserlo.

Per il resto, Temptation Island è come sempre imbattibile quanto a racconto della nostra epoca. Un’epoca di regressione in cui le relazioni di coppia hanno un peso che non avevano da prima dell’emancipazione femminile, in cui due dei partecipanti sono fidanzati da sette anni e lei ne ha diciannove, e una volta avremmo pensato fosse l’incarnazione della questione meridionale, e adesso sappiamo che è l’ambizione media: non doversi prendere il disturbo di avere ambizioni, perché essere in coppia è tutto quel che ti serve.

«Ho perso anni della mia vita, io potevo fare ben altro», lamenta lei come tutte, e tu pensi ma che potevi fare, sei un’estetista diciannovenne di Scafati in provincia di Salerno, hai lo smalto bianco e sei in televisione, quali migliori prospettive avevi?

Lo smalto bianco è parte dell’esattezza sociale dei casting della De Filippi, che da decenni implacabilmente ci mette davanti quell’ampio pezzo di società che normalmente ci sforziamo di non vedere, quell’umanità che dice «chapeau» convinta che sia un’espressione raffinata e, se femmina, mette lo smalto bianco con la voluttà con cui nel 1939 avrebbe messo il rosso giungla (no, così il riferimento non lo trovate: su Google dovete mettere “Cukor, Donne”).

Il catalogo è ampio e preciso. C’è il romano convinto di parlare italiano che, alla tizia con lui nell’idromassaggio, dice di quelli che li osservano «Li famo parla’ bene», e la poverina lo guarda come mucca guarda treno. (Temptation Island è grandemente consapevole che l’italiano non lo parla più nessuno, figuriamoci se lo parlano quelli che vanno a parlare delle loro corna in tv. Mia frase preferita forse «Gli ho privato delle cose dato che lui me ne ha private altre»).

C’è la tizia in spiaggia con flirt che, invece di pensare alle corna da mettere al fidanzato, dice «Vorrei il telefono per fare le foto». O che «mi ha lasciato circa cinque volte, io sono sempre lì che aspetto e lui forse di questo se ne approfitta», e io non riesco a smettere d’interrogarmi: quante volte sono, circa cinque? Quattro e mezzo? Sei meno un quarto?

C’è quello che è stato cornuto per due anni e poi ha pensato di fare il gran gesto, ha portato la cornificatrice non so dove e le ha detto «qui ci siamo conosciuti e qui ora io ti lascio» (poi son venuti in tv perché almeno lasciarsi facendosi quel po’ di fama che poi costituirà reddito).

C’è l’indignata perché ha scoperto che il fidanzato si scriveva con chissà chi sulle app da rimorchio, «si metteva a parla’ co’ le femmine, co’ le vecchie», e sospetto che «le vecchie» fossero meno che trentenni.

Ma la mia preferita è quella che, singhiozzando per la sua storia di disamore, piange non tanto la relazione sbagliata ma i decenni in cui l’hanno truffata, prima sui giornali poi in tv poi su Instagram, psicologi che le hanno giurato che l’infanzia è destino. Perché proprio a lei una relazione infelice, a lei che non viene da una famiglia disfunzionale, «i miei genitori sono normali, non c’ho una falla nel sistema». Il più gran trucco escogitato dal diavolo è convincere gli inattrezzati che potranno avere un qualche controllo sulle loro vite, o almeno gli strumenti per affrontarle.