L’odio degli esclusi, la piccineria bipopulista e Macron unico argine democratico

A L’Haÿ les Roses, piccola cittadina a sud di Parigi, si è passato il confine tra quella che comunemente si definisce una rivolta e l’attacco allo Stato. I giovani ribelli hanno assaltato direttamente la casa del sindaco, sfondando il cancello con un’auto poi data alle fiamme. La moglie, nella fuga, si è rotta una gamba. Con lei c’erano i figli di cinque e sette anni. Il Comune è stato recintato col filo spinato. La République si deve barricare.

È una mega-protesta che non porterà da nessuna parte, non ha sbocchi perché non ha nulla da conquistare ma tutto da perdere. E però Emmanuel Macron sta vivendo il momento più difficile. La sua sembra un’esperienza napoleonica: un susseguirsi di battaglie campali. Come tante volte fece l’Imperatore, anche lui deve cambiare qualcosa: ora si tratta di resistere, domani dovrà in qualche modo aprire perché o lo Stato cessa di essere per quei giovani un nemico o alla lunga si usura.

Sconfitta due volte Marine Le Pen, sconfitti i gilet gialli, sconfitta la sinistra sulle pensioni, oggi il presidente francese ha di fronte qualcosa di non immediatamente politico, un nemico chiamato nichilismo che salda tre fenomeni: il nichilismo-populismo di fine Ottocento e la dimensione di massa del Novecento frullati nella Rete del Ventunesimo secolo. Una miscela difficilmente leggibile con i tradizionali occhiali focalizzati sul clivage destra-sinistra ma anche sulle comode scorciatoie sociologiche che non bastano a spiegare, per esempio, perché la cosiddetta protesta prenda piede nella ricca Bordeaux o si stia allargando alla Svizzera.

Quello che sta venendo fuori è un malessere esistenziale che si esplica con una reazione nevrastenica, irrazionale, senza idee a una condizione di vita fatta di noia, ignoranza, consumi inutili, pochi soldi in tasca, famiglie isteriche, interrogativi sul futuro. Non è conflitto in senso stretto. Che vuoi che ne sappiano, questi quindicenni, di politica, di lotte sociali?

«Nei territori perduti della Repubblica abita una generazione perduta», ha scritto Giuliano Ferrara, e infatti nel deserto di idee forti e di cultura e di socialità, questi ragazzi e ragazzini distruggono tutto ciò che trovano, rubano Nike e cellulari di ultima generazione e poi sparano in Rete i video delle loro bravate come fanno i maniaci sessuali dopo le violenze.

Nel vuoto delle loro società, non vogliono il potere – non sanno nemmeno che è –, vogliono oggetti. E soldi. Subito, adesso. Credono di riempire il buio morale e esistenziale con i bagliori dei fuochi ai cassonetti, il deserto di idee con i furti e le botte. Sono ore nelle quali il presidente francese rischia di essere stritolato dalla tenaglia tra ribellismo e nuovo ordine reazionario: non può non agire col pugno di ferro, non può nemmeno esagerare.

Come ha scritto Massimiliano Panarari sulla Stampa, «con l’ordine politico democratico messo sotto scacco dall’assedio del rancore delle frange violente non integrate e al contempo delle estreme destre populiste à la Zemmour che parlano di “guerra etnica”».

Un Francia debole è un problema per tutta l’Europa – lo ha capito Guido Crosetto (probabilmente a destra solo lui). Addirittura qualcuno dice che dietro i giovani rivoltosi vi possa essere una longa manus della Russia. Di certo è un incubo per un uomo che a sorpresa conquistò l’Eliseo rappresentando – ha scritto Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera – «una Francia liberale, centrista, europeista, moderna» in grado di disincrostare il suo Paese dalla vecchia anchilosi gaullismo-socialismo per portarlo nel cuore dell’Europa, modernizzandolo, sprovincializzando l’enorme e antica campagna francese e tentando di sostituire al bla bla parigino qualcosa di più produttivo.

Si è dimenticato del nuovo lumpenproletariat nero e magrebino, gli esclusi dal neo-consumismo tecnologico, ha pensato a torto che il welfare francese fosse in grado di assorbire le disuguaglianze sociali ma a un un certo punto la Francia non è stata più la Francia, nel senso che si è molecolarmente disgregata l’idea che tutti, bianchi, neri, mulatti, tutti i francesi fossero francesi, e si è acceso il sacro fuoco dell’identità e della corrispondente discriminazione: e quando è scoccata la scintilla dell’omicidio di Nahel il fiume della violenza ha tracimato. Così Macron è diventato il bersaglio del nichilismo un po’ come era lo zar per i Demoni di Dostojevskji.

Potrebbe esserne travolto, come ha paventato Libération, che pure non lo ama, a beneficio di una Marine Le Pen, l’eterna sconfitta (da lui), che si guarda bene dal cavalcare l’onda delle banlieuses ma che oggettivamente potrebbe passare all’incasso incarnando una domanda di ordine di una Francia esausta. O potrebbe beneficiarne quest’uomo senza troppi scrupoli che si chiama Jean-Luc Mélenchon, che non soffia esplicitamente sul fuoco ma nemmeno condanna le violenze, tipo né con lo Stato né con le Brigate Rosse di italica memoria: a questo è ridotta la sinistra francese incapace di vedere che l’odio degli esclusi sta attaccando la democrazia, l’irrazionalità sta muovendo all’assalto della culla della ragione. La politica francese ufficiale, di destra e di sinistra, se la squaglia lasciando che Emmanuel Macron se la sbrighi da sé. Ancora una volta, è lui l’argine della democrazia.