Se volete capire davvero la vicenda del salario minimo

I partiti di opposizione hanno presentato una proposta di legge unitaria per introdurre un salario minimo da nove euro lordi l’ora. È un’ottima notizia perché, nonostante la forte copertura dei contratti collettivi nazionali nel nostro Paese sia molto alta (la Cgil parla del novantasette per cento dei lavoratori coperti dai contratti collettivi nazionale di lavoro firmati dalle tre principali sigle sindacali), l’introduzione di un minimo salariale orario porterebbe comunque un grosso vantaggio al nostro mercato del lavoro.

Perché sì
Il salario minimo è uno strumento chiaro e trasparente, utilissimo come base di partenza per qualsiasi contrattazione. Oggi, infatti, la maggior parte dei lavoratori non ha bene idea di quale sia la retribuzione oraria minima che gli spetta, soprattutto coloro che hanno una consapevolezza inferiore sui propri diritti. Arrivare a un colloquio di lavoro sapendo che ogni offerta al di sotto di una certa soglia è illegale sarebbe un ottimo punto di partenza. Applicare un salario minimo chiaro, ben pubblicizzato e uguale per ogni lavoratore significa rendere molto più semplice rivendicare il diritto a una paga equa.

Il salario minimo andrebbe poi a coprire tutti quei lavoratori che non sono assunti con un contratto collettivo nazionale. È vero, sono una quota minoritaria della popolazione lavorativa, ma non si capisce perché non si possa risolvere il problema con una semplice legge che tuteli anche questa categoria.

Infine, il salario minimo universale elimina, o perlomeno riduce, la disparità di trattamento tra categorie di lavoratori. Oggi, gli occupati coperti da sigle sindacali più “efficienti” possono godere di rinnovi dei contratti nazionali generosi e in orario – o comunque poco in ritardo. Ci sono invece categorie che lavorano per anni sotto un contratto collettivo scaduto e, quando finalmente viene rinnovato, spesso contiene condizioni che si rifanno alla situazione di anni prima, quando il contratto avrebbe dovuto essere rinnovato in primo luogo. Un salario minimo che si aggiorna in maniera efficiente potrebbe fungere da traino per il rinnovo dei contratti. Se questo non avvenisse, tutelerebbe perlomeno i lavoratori con minimi contrattuali molto bassi, che finendo sotto la protezione del salario minimo supererebbe le loro retribuzioni precedenti al rinnovo.

Perché no
Il salario minimo è uno strumento fondamentale, ma va maneggiato con cura. Una barra di riferimento troppo bassa potrebbe portare al ribasso generale delle retribuzioni, soprattutto per i lavori con poco valore aggiunto. I datori di lavoro che assumono sarebbero così tutelati dalla legge nel pagare poco gli occupati, un po’ come avviene oggi con alcuni minimi contrattuali estremamente bassi, come quelli della vigilanza privata, giudicati infatti incostituzionali.

Allo stesso tempo, però, un salario minimo troppo alto potrebbe avere conseguenze negative sul mercato del lavoro. Immaginate un’azienda di vigilanza privata che è abituata a pagare quattro euro l’ora le proprie guardie giurate. È un livello di salario che è difficile non definire inaccettabile, ma permette all’impresa di avere margine su quello che è un lavoro a relativamente basso valore aggiunto. Se la retribuzione oraria passasse da quattro euro a dodici per effetto del salario minimo, il costo per il personale dell’impresa di vigilanza aumenterebbe del duecento per cento. Difficile che si riuscirà a rimanere sul mercato a queste condizioni. L’impresa dovrà così o ridurre il personale, generando disoccupazione, o assumerne a nero, per poter continuare a mantenere le retribuzioni basse abbastanza da garantire un margine. La soluzione è trovare un livello retributivo che garantisca una vita dignitosa, ma che, allo stesso tempo, permetta all’impresa di rimanere sul mercato.

Qual è il giusto livello?
Secondo la maggior parte degli economisti, il bilanciamento corretto tra necessità dell’impresa e diritti del lavoratore è un salario minimo pari al sessanta per cento della retribuzione mediana. La retribuzione mediana (da non confondere con la media) è quella che si trova a metà della distribuzione: il cinquanta per cento dei lavoratori guadagna di più, l’altra metà guadagna meno.

Il metodo del sessanta per cento è quello che viene seguito in Germania: lì il salario minimo è passato in pochi mesi da 9,82 a 12,43 euro l’ora. La decisione non è stata presa tramite una legge, ma attraverso un comitato indipendente per la definizione del salario minimo. Da qui, la prima lezione per l’opposizione nostrana: non è importante stabilire un numero, quello che conta è favorire la creazione dello strumento e avere regole chiare sul modo in cui va fissato il valore del minimo. Un comitato indipendente, oltre a eliminare il rischio che il salario minimo venga utilizzato per ragioni politiche, garantisce che il suo rinnovo sia costante nel tempo, senza dipendere dalla volontà o dal colore del governo in carica.

Ma quindi, se in Italia seguissimo l’esempio della Germania, quale sarebbe il livello attuale? Nel 2018, la retribuzione oraria mediana lorda nel nostro Paese era pari a 12,61 euro. Questo significa che il salario minimo dovrebbe essere pari a circa 7,5 euro lordi l’ora. Può sembrare un livello basso, ma, considerando anche la tassazione minima, equivarrebbero a circa mille euro netti al mese su tredici mensilità per un lavoratore full time. Non il massimo, ma –appunto – il minimo sindacale. Immaginate quanto migliorerebbe il benessere dei lavoratori se nessun dipendente potesse guadagnare meno di mille euro al mese.

Va poi considerata l’inflazione. L’ultimo dato affidabile disponibile sulla retribuzione mediana è del 2018, ma da quel momento le cose sono cambiate: il livello generale dei prezzi è aumentato del 17,5 per cento. I salari probabilmente non sono aumentati di pari passo, ma supponiamo che sia così: in quel caso, il salario minimo dovrebbe essere pari a circa 8,8 euro lordi l’ora, non lontani dai nove euro proposti dalle opposizioni. Anche se l’aumento della retribuzione mediana fosse stato inferiore rispetto all’inflazione, potremmo comunque aspettarci un livello del minimo che, nel 2023, dovrebbe essere compreso tra gli otto e i nove euro l’ora.

Sarà difficile, se non impossibile, che la proposta delle opposizioni possa trovare strada all’interno di questo Parlamento, ma bisogna riconoscere che si tratta di un ottimo punto di partenza. Se la lotta continuerà su un livello non esagerato (tra gli otto e i nove euro, appunto) e ci si concentrerà di più anche sugli aspetti di governance del salario minimo, il livello del dibattito politico ne beneficerà molto. E, si spera, ne beneficerà anche il mercato del lavoro, con uno strumento che resta fondamentale per la nostra economia e per la tutela dei lavoratori.