Avere tutto/ il romanzo di un grande Marco Missiroli

I nostri vizi o segreti. Mentre cerco sul computer qualcosa su Lucio Battisti, mi imbatto nella presentazione di un libro. Ascolto Marco Missiroli, che è uno scrittore italiano (nato a Rimini nel 1981) che vive e lavora a Milano. Lo conoscevo perchè scrive sul Corsera, con il suo primo romanzo, Senza coda (Fanucci,2005), ha vinto il Premio Campiello Opera Prima, nel 2019 si è classificato terzo al Premio Strega. Ma era la prima volta che lo vedevo e lo sentivo parlare. Parla della moglie, della figlia, e così scopro una persona interessante che mi piacerebbe conoscere. Ecco la motivazione per la quale ho letto l’ultimo suo coinvolgente romanzo con un titolo da canzone per Sanremo ” Avere tutto”. Non è il mio mestiere e dunque non svelo niente della trama, perchè questo romanzo di 168 pagine è fatto di un linguaggio accurato e avvolgente, di dialoghi brevissimi.

Ecco subito un esempio

Stiamo zitti, poi mi augura buona serata e le è rimasta la voce bella e anche io potrei dirle: amore.
Passata un’ora e mezza sono in macchina e mi riviene lei, il suo modo serio di dire scambio molecolare. E anche dopo, parcheggiando al bar Ilde e incamminandomi verso l’appuntamento, Bibi nell’attimo prima del gioco, quando le cose certe si arrendono alle cose possibili.

Nando è il padre, Sandro il figlio, e a legarli è la madre in un triangolo sentimentale che si svolge a Rimini. Avere tutto, dove rintraccio due segni a me molto cari (la canzone Il mondo, di Jimmy Fontana, e il libero della Juve Gaetano Scirea) è una storia di dipendenze. Il padre ha lavorato sui bus turistici, fatto il ferroviere, posseduto il bar America, ma la sua passione è quella di ballerino. Perché lui e sua moglie ballavano in tutte le competizioni della riviera romagnola e ballavano per vincere. Anche a Sandro, che lavora come pubblicitario a Milano, piace vincere, è una malattia di famiglia. Inoltre ha quella precarietà, a 40 anni, che noi padri non abbiamo conosciuto. Poi ci sono le donne, Giulia, Bibi, Caterina, in un racconto che va avanti e indietro nel tempo e all’inizio disorienta fin quando non si capiscono gli incastri. Cos’è rimasto a Sandro, che voleva avere tutto?

Cosa rimane a ciascuno di noi, ogni volta che sfidiamo la fortuna e ripensiamo al passato, alle nostre alterne vicende? Rimuginiamo: con venti anni di meno e un milione di euro in più, cosa avremmo fatto? Un romanzo potente sul rischio di vivere, in una città di provincia che sembra vivere una stagione all’anno, ma, ripeto, il plot narrativo passa in secondo piano. Qui ogni parola è cesellata, ogni frase è scolpita e  Marco Missiroli s’impone, per i miei gusti, come un autore da non perdere più di vista.

“Imbocco la circonvallazione, un budello strozzato dove la città finisce, questa terra con il suo passaggio al freddo che assomiglia ad un riposo, la luce stanca e le persone e le cose che ridiventano loro fuori dall’estate. Lascio la circonvallazione e lascio Rimini, la mattina ora è cresciuta e via via che arrivo a Montescudo s’impregna di selvatico”.

Questo, si vede, è un romanzo abbastanza personale, dove l’autobiografia c’è ma (forse) è utilizzata per dare quella sincerità e verosimiglianza che cattura il lettore. Tratto da una storia vera, ormai tutti i film non rinunciano a questa epigrafe iniziale, e anche gli scrittori s’ inventano personaggi volendo farci credere che svelano la loro vita.