La famosa (e ormai ciclica) invasione dei rifiuti in Sicilia

Torna un grande classico dell’estate siciliana: i roghi dei rifiuti in strada. Collinette di immondizia costellano le strade dell’isola, in provincia come nelle grandi città, e si arriva al punto di non ritorno in cui i residenti, esasperati, cominciano a dar fuoco ai cumuli di rifiuti, creando danno su danno. Come sempre, anche questo è un classico, la città che dà il via alla stagione incendiaria è Palermo.

In questi ultimi giorni i rifiuti non raccolti bruciano come non accadeva da mesi (esattamente: da un’estate fa) ed è la prima crisi che deve gestire il nuovo sindaco della città, Roberto Lagalla, che invece su altri fronti (ad esempio l’indecente accatastarsi di bare in attesa di sepoltura, circa trecento, nel cimitero cittadino) ha mostrato finora di sapersi ben destreggiare.

I rifiuti a Palermo, come in Sicilia, sono qualcosa che non attiene solo alla politica e all’amministrazione, ma anche a una specie di dimensione metafisica, con quel loro spuntare e rispuntare quasi a ogni vigilia di cambio di stagione politica, e tutto ciò nonostante, timidamente, eh, senza grandi sforzi, l’Isola cerchi di recuperare il conto arretrato sulla raccolta differenziata, sistema di raccolta ed impianti.

Non è un caso che l’immagine iconica di questa nuova emergenza sia la collinetta di rifiuti sotto il murale fresco fresco dedicato a Biagio Conte, il missionario laico da poco scomparso che è stato un vero e proprio angelo custode degli ultimi e degli emarginati in città. Il murale a lui dedicato, in Via Vittorio, quartiere Sperone, è diventato già luogo di pellegrinaggio. Peccato che sia anche, adesso, luogo di abbandono indiscriminato di rifiuti.

Sette sono stati i roghi nella notte tra lunedì e martedì a Palermo, in sette quartieri diversi della città. È stata la notte più intensa, preceduta da altre dove incendi più o meno grossi avevano occupato i vigili del fuoco.

La metafisica, dunque, per parlare di rifiuti. Perché dietro questa ennesima crisi ci sono tanti fattori, locali, generali, politici, amministrativi e quel certo non so che di fatalismo che accompagna, da sempre, tutto ciò che ha a che fare con la cosa pubblica in Sicilia. A Palermo, nello specifico, la crisi attuale è determinata dal solito incrocio di fattori: c’è stato il guasto a diversi mezzi della raccolta, un problema con il personale addetto, tra turni e ferie, una cattiva organizzazione della raccolta, i soliti disagi nella famigerata discarica di Bellolampo. E il danno è stato fatto.

Neanche Leoluca Orlando, sindaco per eccellenza di tutte le stagioni palermitane, era riuscito a risolvere il problema. Ma Orlando, furbo storyteller della sua stessa epopea, si era inventato tutta una giustificazione: «I turisti vengono a Palermo anche perché ci sono le montagnole di rifiuti», diceva. Insomma, il contrasto tra le bellezze dell’itinerario arabo – normanno, patrimonio Unesco, e le collinette dei rifiuti accanto ai monumenti, era, di per sé stesso, un’ulteriore attrazione.

Il nuovo Sindaco, Lagalla, è molto più pratico, e cerca pertanto di uscire dalla crisi il prima possibile, mettendo di nuovo a posto le tessere del puzzle, per fare ritornare a regime (diciamo) una raccolta che solo a Palermo è di ottocento tonnellate di rifiuti al giorno.

Sembra l’antipasto di un’estate caldissima, con un’emergenza annunciata che a macchia d’olio si espande nell’isola, ma che è il costante ripetersi di scene già viste. Mentre continuano infatti i proclami sulla politica dei rifiuti zero, la verità è che la Sicilia ancora dipende dalle discariche, in un mix di rischio pubblico e vantaggi privati che ha fatto la fortuna di pochi, a scapito però della collettività.

Nessun governo regionale è riuscito a mettere mani ad una soluzione organica del problema, e il governo Schifani aveva annunciato una riforma del settore – travolto da inchieste giudiziarie, in pratica, in ogni provincia – ma che è ancora in alto mare. Il nodo sono i termovalorizzatori. L’annuncio della loro realizzazione è secondo, per enfasi, solo a quello del Ponte sullo Stretto. Solo che di volta in volta cambia il loro numero e la dimensione: cinque mini, poi sette, adesso due, ma grandi.

Lo schema è il solito: l’annuncio, la richiesta al governo nazionale di avere poteri speciali per procedere subito, le polemiche, poi il freno. E quindi si ricomincia: la magistratura in campo per l’ennesimo scandalo, sequestri di impianti, dissequestri, l’emergenza, le nuove vasche per le discariche, che si esauriscono in fretta, i rifiuti in strada, i roghi. E allora la soluzione finale è anche la più costosa: spedire i rifiuti all’estero.

Ad aprile, sessantamila tonnellate di spazzatura della Sicilia orientale sono state spedite in Danimarca. Costo dell’operazione ventidue milioni di euro. Costi che, con gli altri, vanno a cadere sulle spalle dei cittadini. La Tari, infatti, la tassa sui rifiuti, per legge deve coprire per intero i costi del servizio. Ed infatti a Catania come a Palermo o Messina si paga la Tari più alta d’Italia. Ma gli aumenti colpiscono anche i piccoli Comuni, quelli che solitamente hanno una raccolta differenziata virtuosa e mandano poche quantità di rifiuti in discarica. Solo che il costo del conferimento aumenta, e quindi anche la Tari.

«Non vogliamo essere il capro espiatorio di aumenti che i nostri stessi cittadini non comprendono», hanno scritto i Sindaci dell’Anci in una lettera alla Regione. E poi c’è quella dimensione metafisica, come dicevamo. Lo ha spiegato l’assessore regionale al ramo, Giovanni Di Mauro, intervenendo al parlamento regionale nel corso dell’ultimo e inconcludente dibattito sul tema: «Non riusciamo a capire come mai la raccolta differenziata aumenti in Sicilia, ma aumenta anche la quantità di rifiuti prodotta». Insomma, più aumenta la percentuale di carta, plastica, vetro, organico, più aumenta il residuo.