La fissazione/Schlein insegue ancora quel campo largo già fallito più volte (e non si capisce perché)

Adesso va di moda invitare gli altri partiti alle proprie iniziative – convegni, manifestazioni, cortei eccetera –, cosa che in sé è segno di buona educazione ma qui sta diventando un’abitudine non dettata dal bon ton ma da una scelta politica abbastanza discutibile. La conseguenza di questa corresponsione di amorosi sensi – «grazie per avermi invitato, passo senz’altro» –infatti rischia di essere un certo oscuramento del partito che fa un’iniziativa a tutto beneficio della fotografia del “campo largo”, cioè si finisce per annacquare il proprio protagonismo per far meglio risaltare l’asse con altri.

È una forma, speriamo curabile, di ossessione. Di ossessione per le alleanzeper di più a quattro anni dalle elezioni politiche. Così oggi e domani a Napoli, nei quartieri spagnoli, il Partito democratico tiene questo grosso convegno contro la proposta del governo (Roberto Calderoli) sull’autonomia differenziata. E non c’è nulla di male se saranno presenti tanti esperti, intellettuali, ospiti, anche perché dovendo riempire due giorni il Partito democratico da solo non ce la farebbe.

Ma a parte la plateale assenza (a Napoli!) di Vincenzo De Luca, per come sono costruite queste iniziative la notizia sarà la partecipazione di Roberto Fico per il Movimento 5 stelle (non è Giuseppe Conte ma è meglio di niente), Peppe De Cristofaro per Sinistra-Verdi e, udite udite, Elena Bonetti di Italia Viva, il partito di Renzi stavolta agganciato dopo che era stato tenuto fuori dal tavolo sul salario minimo.

È il disegno, quello che Elly Schlein coltiva: cercare di mettere in piedi un cartello di forze «sui temi». Costruire questo benedetto campo largo riprendendo da dove Enrico Letta aveva infine fallito proprio sul più bello.

Sul salario minimo è andata abbastanza bene, anche grazie alla sintonia con Carlo Calenda, e vedremo a fine mese cosa si combinerà in Parlamento, mentre adesso si cerca il bis (e con Renzi) contro il progetto Calderoli.

E poi ci sarà una terza questione, una quarta, e così via fino a una chiara definizione programmatica del “campo largo” (aperta parentesi, alla Camera si è deciso di elevare le maggiorazioni dei capigruppo di milleduecento euro grazie all’ex scatoletta di tonno di Conte e alla destra, con la benevola astensione del Partito democratico: un altro punto unitario… chiusa parentesi).

È lo schema di Letta. Si è visto com’è finito. Ora dalla nuova leader, peraltro così innovativa dal punto di vista dell’immagine e anche dei contenuti, ci si aspetterebbe qualcosa di nuovo più che il ripetersi del vecchio copione dei Letta e degli Zingaretti, cioè la solita zuppa della somma dei partiti: ci si attendeva un colpo d’ala, un protagonismo nuovo del Partito democratico in forma di autocandidatura, anche personale, della Schlein nella sfida alla destra di Giorgia Meloni, un grande progetto di un partito che sceglie di giocarsela in prima persona senza chiedere permesso a nessuno. Ovviamente non disdegnando affatto convergenze con altri partiti, specie in sede parlamentare dove i numeri già sono ostili di loro.

E invece si continua a inseguire Conte nella convinzione che questi sia un alleato naturale e non invece un avversario da battere e a cui sottrarre voti. In questo modo il Partito democratico continua a offuscare sé stesso, con un incredibile rovesciamento della più elementare logica di partito, e restando dunque secondo gli ultimi sondaggi ancora bloccato attorno a un venti per cento con cui ci può fare la birra.

Ci sono diverse elezioni regionali l’anno prossimo: è vero che serviranno le coalizioni, ma nessun cartello sarà mai competitivo finché il Partito democratico sarà su queste percentuali (senza contare che in elezioni locali il Movimento 5 stelle non porta voti). Piuttosto, ci saranno le Europee con il proporzionale, e se il Partito democratico vuole arrivare al primo posto superando Giorgia Meloni deve cominciare a ragionare in un altro modo. Quello della vocazione maggioritaria, remember Elly?