Kundera/ Quell’insostenibile leggerezza che non ho capito

Milan Kundera (1929-2023) tutti lo abbiamo letto attratti dall’accostamento delle parole “insostenibile” e “leggerezza”. Per me è rimasto un libro misterioso e ancora adesso, dopo tanti anni dall’averlo letto, non credo di aver capito bene la tesi sottesa al titolo.

Antonio Tabucchi ha scritto che un romanzo non è grande se non ha in sé almeno un’interrogazione metafisica.

In questo romanzo, addirittura, tutti i protagonisti si chiedono: che cosa devo fare? Cosa scegliere? Leggerezza o pesantezza? E anche noi lettori, continuiamo a chiederci perché la leggerezza dell’essere sia insostenibile.

Basandosi sulle coppie oppositive di Parmenide, formate da una metà positiva e una negativa, imprescindibili l’una dall’altra, Kundera sostiene nel suo romanzo che  la coppia leggerezza-pesantezza è la più misteriosa di tutte. Se leggero è positivo e pesante è negativo, allora perché la leggerezza è insostenibile? Forse significa che è impossibile che l’esistenza sia leggera o che, per sentirci realmente “vissuti”, dobbiamo avere cose pesanti nelle nostre vite? Che non possiamo accontentarci di un’esistenza senza troppi pensieri, di un amore leggero? Un amore maturo e profondo, quindi, è pesante? Perché, però, come Tomáš, percepiamo questo amore come necessario, cioè perché il pesante è necessario? Non lo so.

So solo che a suo tempo avevo sottolineato sul mio libro queste frasi:

“Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. È per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione”.

«Andavano tutti e due verso le lontananze che desideravano. Erano ebbri del tradimento che li liberava. Franz cavalcava Sabina e tradiva sua moglie, Sabina cavalcava Franz e tradiva Franz».

“I personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Per questo voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato”.

“Perché, allora, si ripeteva ogni giorno che la sua amante voleva lasciarlo? Non riesco a spiegarmelo se non col fatto che per lui l’amore non era un prolungamento della sua vita pubblica bensì il suo polo opposto. Significava per lui il desiderio di darsi in balia dell’altro. Chi si dà all’altro come un soldato si dà prigioniero, deve prima consegnare tutte le armi. E così privato di ogni difesa, non può fare a meno di chiedersi quando arriverà il colpo. Posso dunque affermare che per Franz l’amore era una continua attesa di un colpo imminente”.

“Soltanto il caso può apparirci come un messaggio. Ciò che avviene per necessità, ciò che è atteso, che si ripete ogni giorno, tutto ciò è muto. Soltanto il caso ci parla”.

(Il Foglio) Il saggista americano Paul Berman rende omaggio allo scrittore scomparso e sottolinea fino a che punto la sua opera sia profetica. Scrive il Monde (19/7)

“Negli Stati Uniti, una delle principali reazioni alla morte di Milan Kundera è stata quella di rendergli un omaggio rispettoso, ma leggermente altezzoso, trattandolo con condiscendenza come un uomo del passato” scrive Paul Berman. “Questo comportamento si spiega col fatto che l’anti comunismo della guerra fredda risale a molto tempo fa e sono apparsi problemi più recenti, oltre che nuovi codici morali, in particolare in America, che hanno relegato a un’epoca desueta la rappresentazione delle donne e della sessualità che si trova nelle opere di Kundera. Il suo stile filosofico cerebrale, inoltre, non raccoglie l’unanimità. Tuttavia, non capisco veramente questa reazione alla sua scomparsa. A mio avviso, è evidente che Kundera sia un uomo della nostra epoca, e anche un visionario. Ogni giorno, le notizie provenienti dall’Ucraina lo confermano – anche se bisogna ricordare la sua visione del mondo per rendersene conto. Il suo tema centrale è sempre stato il conflitto tra la vita e la menzogna. Lo trattava con una certa dose d’ironia, perché l’ironia possiede questa qualità stranamente tragica di resistere alla menzogna. Integrandovi anche il sesso che, per la sua intensità in alcune opere, assume una dimensione vicina alla ribellione. Attraverso i suoi personaggi che si muovono a Praga alla ricerca di avventure erotiche, rendendo il loro godimento credibile, poteva mostrare che l’autorità non era credibile. La sua visione che opponeva la vita alla menzogna si prestava anche a un’interpretazione geopolitica. L’idea che predominava durante la guerra fredda era che, in seno all’Europa, le nazioni del blocco dell’est condividevano “un’anima slava”, che le distingueva dall’occidente e conferiva a questo blocco una coerenza culturale e una certa legittimità. Ma nel 1983, al culmine della guerra fredda, Kundera ha pubblicato nella rivista Le Débat un articolo intitolato “Un Occident kidnappé. Ou la tragédie del’Europe centrale”, che fece scalpore in molti paesi (tra cui gli Stati Uniti, naturalmente), dove spiegava che, al contrario, “l’anima slava” era un mito, ossia una menzogna. Esistono delle lingue slave, ma la divisione antica e profonda che ha segnato l’Europa proveniva, in realtà, non da gruppi linguistici, ma da differenze teologiche tra l’Impero romano e l’Impero bizantino. E questa divisione ha spinto le varie piccole nazioni situate nell’immediato ovest della Russia verso la civiltà dell’Europa dell’ovest, e non verso l’est. Queste nazioni avevano tuttavia dei tratti peculiari sufficienti per essere raggruppati in una terza categoria geografica: l’“Europa centrale”. Le loro culture erano più scettiche di quelle degli occidentali sicuri di loro. La loro coscienza della fragilità era maggiore. Il loro spirito era anti mitologico per istinto, ironico e sarcastico, come si può constatare nelle opere di Franz Kafka, quintessenza dell’autore dell’Europa centrale. E non c’è alcun dubbio sul fatto che Kundera considerasse gli ebrei come una nazione a sé in questa parte dell’Europa, e persino “la piccola nazione per eccellenza”, sparpagliata fra tutte le altre e aggiungendo il proprio tocco che univa la regione nel suo insieme.

Sull’Ucraina, Kundera, in questo saggio fondatore del 1983, faceva soltanto un’osservazione, che ha messo in una nota a piè di pagina indignata: “Una delle grandi nazioni europee (ci sono quasi quaranta milioni di ucraini) sta progressivamente sparendo. E questo grande evento, quasi incredibile, si produce senza che il mondo se ne accorga (questa nota non appare nella versione francese, la si trova nella versione inglese pubblicata dalla New York Review, nell’aprile del 1984). Queste linee possono bastare? Nessuno leggendo oggi Kundera non mancherà di riconoscere che l’Ucraina ha dimostrato di essere un’altra nazione indocile all’ovest della Russia, che lotta per conservare la sua doppia identità, nazionale e occidentale (…). La caratteristica che deve colpirci maggiormente (…) è il conflitto tra la vita e la menzogna – la vita essendo letteralmente incarnata dall’esistenza del popolo ucraino, e la menzogna dalla convinzione insensata che non solo l’Ucraina non esiste, ma che inoltre è governata da dei nazisti. Il più grande conflitto in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale si rivela una guerra kunderiana. Se Kundera avesse bisogno di un epitaffio, le parole che dovrebbero figurarvi sono ora evidenti. L’uomo del passato era in fondo il profeta della nostra epoca – un ruolo che questo pensatore con le caratteristiche dell’anti eroe sembra suo malgrado aver ereditato da Kafka, altrettanto anti eroico e reticente a incarnarlo.