Le canzoni italiane che canticchiamo al karaoke e che individuiamo subito al primo ascolto ancora oggi nel 2023, sono opera di tre autori che una volta chiamavamo “parolieri” (e nessuno si offendeva). Il pubblico conosce i cantanti e li associa ai successi ma sia i cantanti che i successi sono opera di chi ha composto e arrangiato ( vedi Morricone alla RCA) le canzonette. L’Italia è stata la terra dei cantautori e di Mogol, l’unico paroliere che, per merito di Battisti, si è fatto conoscere dal grande pubblico. Ma ci sono stati tre autori che da soli (e con altri, Daniele Pace e Franco Migliacci tra tutti) hanno costruito l’intero patrimonio musicale italiano. Vediamo di ridare loro il posto che meritano.
Giorgio Calabrese (Genova, 1929-2016) tradusse per l’Italia tutti i grandi autori brasiliani. Secondo solo a Mogol per numero di brani scritti per Mina, tradusse quasi tutto Aznavour, con pezzi come Lei, E io tra di voi, L’istrione, cantata poi da Massimo Ranieri
Insieme a Gino Paoli, Umberto Bindi, Bruno Lauzi, i fratelli Reverberi, Luigi Tenco e Fabrizio De André, Calabrese è stato uno dei padri della scuola genovese. La sua carriera si apre a fine anni ’50 con il sodalizio artistico con Umberto Bindi, per cui scrive i testi di brani come “Arrivederci”, “Non mi dire chi sei” e “Il Nostro Concerto”. In quel periodo firma alcuni brani con lo pseudonimo “Screwball” e diventa direttore artistico della Karim: sarà lui a scoprire e lanciare Orietta Berti.
Ovunque sei, se ascolterai
Accanto a te mi rivedrai
E troverai un po’ di me
In un concerto dedicato a te (Il nostro concerto, 1960)
Calabrese partecipò a Sanremo 1964 con due sue composizioni: A mezzanotte (l’ultimo tram) presentato da Milva e Frida Boccara, e “E se domani” presentato da Fausto Cigliano e Gene Pitney. Questa canzone scritta dal maestro Carlo Alberto Rossi, passò del tutto inosservata. Ma quando qualche mese dopo venne incisa da Mina, divenne un enorme successo e diede inizio a una fortunata collaborazione tra il paroliere genovese e la regina della musica italiana.
Per lei, Calabrese scriverà, tra le altre, “Secondo me” (con musica di Riccardo Cocciante), “Per avere te”, “Tre volte sì”. Per lei scrisse anche “Piano”, poi ripresa in inglese come “Softly as I leave you” ed eseguita da Frank Sinatra, Elvis Presley, Tony Bennett.
Da non dimenticare inoltre il contributo alla carriera di Ornella Vanoni, che da cantante di nicchia entrò nella classifica dei dischi più venduti con brani quali “Domani è un altro giorno” (musica di Jerry Chesnut, è una cover del brano inglese della cantante statunitense Tammy Wynette dal titolo The Wonders You Perform) “Il tempo d’impazzire”, “Uomo mio, bambino mio”.
È uno di quei giorni in cui
Rivedo tutta la mia vita
Bilancio che non ho quadrato mai
Posso dire d’ogni cosa
Che ho fatto a modo mio
Ma con che risultati non saprei (Domani è un altro giorno, 1971)
Tradusse inoltre dal francese molte canzoni del repertorio di celebrità transalpine come Charles Aznavour e Boris Vian, della musica brasiliana fece conoscere nel nostro Paese tra le altre “La ragazza di Ipanema” e “La pioggia di marzo”.
È stato inoltre autore televisivo e ha firmato i testi di diverse trasmissioni come “Fantastico” e “Domenica in” e del Festival di Sanremo.
E allora
Io quasi quasi prendo il treno E vengo, vengo da te Il treno dei desideri Nei miei pensieri all’incontrario vaNel 1968 Celentano incide “Azzurro” e da allora questi versi fanno parte del nostro immaginario. Ma chi li aveva scritti? Mogol? No.
Vito Pallavicini (1924-2007) era nativo di Vigevano. Ha scritto per l’alto e per il basso, per il dotto e per l’ignorante. Si pensi soltanto alle due più grandi canzoni del repertorio di Paolo Conte: “Azzurro”, appunto e “Insieme a te non ci sto più” portata al successo da Caterina Caselli. Era il 1968 e da allora questi due brani fanno parte della colonna sonora della nostra vita di italiani. Non a caso la canzone della Caselli (di cui è grande estimatore) Nanni Moretti l’ha usata in due film, in “Bianca” e ne “La stanza del figlio”. Ma suoi furono pure i testi di “Nel sole”, il successo che lanciò la carriera di Albano, “Le mille bolle blu”, rivoluzionario brano di Mina, l’internazionale “Io che non vivo” di Donaggio, “Tripoli 69” di Patti Pravo e mille altri, compreso “Nostalgia canaglia” di Albano e Romina del 1987.
I parolieri una volta erano degli illustri sconosciuti che rimanevano sempre nell’ombra, poi un grande autore di cover americane, Mogol, incontrò Battisti, e il termine “paroliere” venne liquidato.
Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi
Le tue calzette rosse
E l’innocenza sulle gote tue
Due arance ancor più rosse (La canzone del sole, 1971)
Da allora Mogol si propose come “poeta” ed è un vero dispiacere che nessuno, dico nessuno, come ha avuto modo di dire Alberto Salerno (anche lui noto paroliere) “abbia mai speso una parola su Vito Pallavicini, autore che negli anni ’60 e ’70 ha firmato una marea di successi, diventati poi parte della storia della musica leggera italiana”.
Pallavicini era di Vigevano, parlava con la erre moscia, ed era un “personaggio” sempre allegro, con una gran voglia di comunicare. Aveva un gran fiuto per gli affari, oltre ad essere anche un eccellente talent scout. Sua la scoperta di Paolo Conte e Toto Cutugno che, grazie alle sue conoscenze e al loro talento, sono diventati popolari come autori.
Io che non vivo più di un’ora senza te
Come posso stare una vita senza te?
Sei mia, sei mia
Mai niente, lo sai, separarci un giorno potrà (Io che non vivo, 1965)
Si dice che Vito Pallavicini abbia firmato, senza mai averli scritti, dei testi per Conte e per Cutugno, ma di queste storie non esiste assolutamente alcuna prova, per cui restano “dicerie”. Resta il fatto che Pallavicini per un ventennio ha dominato la scena musicale italiana, che a Sanremo fosse ben più presente di Mogol, eppure in pratica non lo conosce nessuno. Basterebbe ricordare che il brano scritto con Donaggio nel 1965 “Io che non vivo” ha venduto nel mondo 80 milioni di copie e quindi è una canzone famosa quanto “Nel blu dipinto di blu” di Modugno, “Con te resterò” di Bocelli e “Ti amo” di Tozzi.
D’amore non si muore
Ma chi si sente solo
Non sa vivere più
Con l’ultima speranza
Stasera ho comprato
Rose Rosse per te (Rose rosse, 1969)
Passiamo infine a ricordare un produttore discografico, compositore e paroliere italiano che da solo ha costruito un pezzo intero del karaoke italiano. Si tratta di Giancarlo Bigazzi, noto anche con lo pseudonimo di Katamar (Firenze, 5 settembre 1940 – Camaiore, 19 gennaio 2012).
Giovanissimo già scrive per Riccardo Del Turco (Luglio e Cosa hai messo nel caffè), Caterina Caselli (Il carnevale), Mario Tessuto (Lisa dagli occhi blu), Renato dei Profeti (Lady Barbara). Roba da hit parade quando i 45 giri si compravano nei negozi.
Negli anni settanta continua la sua carriera di autore di testi e (a volte) compositore, inanellando successi, spesso scritti insieme a Totò Savio, per Massimo Ranieri (Rose rosse, Se bruciasse la città, Vent’anni, Erba di casa mia), o per Gianni Nazzaro (L’amore è una colomba); con Antonio e Gianni Bella per Marcella Bella (Montagne verdi, Io domani, Nessuno mai, Un sorriso e poi perdonami) o per lo stesso Gianni (Non si può morire dentro, Dolce uragano, No, Più ci penso, Questo amore non si tocca, Toc toc); con Claudio Cavallaro per I Camaleonti (Eternità, cantata anche da Ornella Vanoni, Come sei bella, Oggi il cielo è rosa) e per Gigliola Cinquetti (Liverpool). Altri grandi successi discografici furono: Cosa resterà degli anni ’80, Self Control per Raf; Gli uomini non cambiano (Mia Martini), Non amarmi (A.Baldi), T’innamorerai e Bella stronza per Masini.
Nel biennio 1970 – 1971 è il produttore de I Califfi e scrive, con il leader del gruppo Franco Boldrini, Acqua e sapone e Lola bella mia (Un disco per l’estate e Cantagiro). Dal 1975 al 1978, Bigazzi produce assieme a Savio Il Giardino dei Semplici, nome di punta del filone romantico della musica italiana e napoletana ed ha venduto 4 milioni di dischi. I brani di maggiore successo furono: M’innamorai (Festivalbar 1975); Miele (Sanremo 1977); Vai (Festivalbar 1976) e Tamburino (1976).
Contemporaneamente alla sua carriera di autore, nel 1971 Bigazzi crea, insieme al paroliere Daniele Pace, al musicista Totò Savio e ai discografici Alfredo Cerruti ed Elio Gariboldi il gruppo degli Squallor che, nati come un progetto goliardico tra amici, per il successo ricevuto, incideranno album per 25 anni.
Il sodalizio con Umberto Tozzi ha sfornato hit quali Donna amante mia, Io camminerò, Ti amo, Tu, Gloria, Stella stai, Notte rosa, Eva ed anche Si può dare di più (cantata da Tozzi con Gianni Morandi ed Enrico Ruggeri).
Tra la metà degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta crea a Firenze una specie di clan: produce i primi lavori di Marco Masini, Raf, Alessandro Canino, Paolo Vallesi, Aleandro Baldi, Danilo Amerio. In questo periodo ha spesso lavorato in tandem con il compositore e paroliere toscano Beppe Dati.
Intraprese inoltre la carriera di autore di colonne sonore per il cinema e firmò quelle di Mery per sempre e Ragazzi fuori di Marco Risi, nonché dell’Oscar Mediterraneo di Gabriele Salvatores. Scrisse anche Gli uomini non cambiano, successo di Mia Martini. Nel 1996 infine ha scritto la musica di Cirano, su testo di Beppe Dati e Francesco Guccini la ha interpretata.
Insomma, è facile capire che senza Bigazzi tanti cantanti italiani che fanno ancora serate e compaiono in tv sarebbero rimasti degli sconosciuti. Il dono di Bigazzi è stato dunque quello di saper fare musica popolare ma i suoi successi internazionali come “Ti amo” dimostrano che non era musica provinciale, perchè la bella musica sarà leggerissima ma non ha confini.