Il dibattito sulle pensioni è spesso asfittico. I toni sono altalenanti, spesso perfino all’interno dello stesso partito: specialista la Lega, che col suo leader esige Quota 41 un giorno sì e l’altro pure e con il suo ministro dell’Economia avverte che con la denatalità italiana «non c’è nessuna riforma previdenziale che tiene nel medio-lungo periodo».
In questo quadro, ogni apertura all’ottimismo è benvenuta, purché suffragata da dati e analisi. Come fa Franco Mostacci, che su lavoce.info assicura che «una via d’uscita sulla riforma delle pensioni c’è». E la spiega così: «Al giorno d’oggi non ha più senso parlare di pensione di vecchiaia o anticipata, come invece si continua a fare. Vanno entrambe abolite e sostituite da una pensione lavorativa, per maturare la quale è sufficiente raggiungere, con il regime contributivo, un montante adeguato, mentre ai lavoratori in regime misto, una categoria che con il tempo è destinata a scomparire, è riservata anche una pensione integrativa per riconoscere i versamenti effettuati prima del 1996 con il sistema retributivo. In questo modo, nessuno percepirebbe più di quello che gli spetta e chi ha maturato un rateo sufficiente, può andare in pensione a suo piacimento, ma senza gravare sui conti pubblici (se non per un’anticipazione di cassa che viene più che recuperata negli anni successivi). Tutto molto semplice e fattibile fin dalla prossima legge di bilancio».
Un sistema previdenziale «tarato» sul retributivo
Sono parole che scaldano il cuore di chi sul lavoro comincia a boccheggiare ma intravede l’oasi previdenziale come un miraggio lontano e incerto. Mostacci, ricercatore senior all’Istat, spiega che la discussione sulle pensioni «deriva da un approccio distorto al problema». Se il sistema previdenziale va riformato, è perché «è ancora tarato nell’ottica del sistema retributivo, che garantiva un assegno pensionistico al raggiungimento di determinati requisiti anagrafici e di anzianità contributiva. Con l’attuale sistema contributivo, in vigore per tutti i lavoratori dal 2012, il rateo pensionistico si basa sull’equilibrio attuariale tra il montante contributivo accumulato alla fine dell’attività lavorativa e la speranza di vita residua. Maggiore è l’età alla quale si va in pensione e più alto sarà l’assegno, che però sarà goduto per un periodo più breve, rispetto alla possibilità di smettere di lavorare anticipatamente». Eppure il sistema contributivo sarebbe teoricamente svincolato dal requisito dell’età minima per la pensione, e avrebbe come unico vincolo quello di assicurare che l’importo maturato basti a campare dignitosamente.
La «pensione a pezzi»
Un obiettivo, questo, compromesso dalle dinamiche del Pil e dalla consistenza dei contributi di cui gode oggi chi lavora: «La riforma del sistema previdenziale non è, quindi, un capriccio di qualcuno, ma deriva dalla discrasia generata dal legislatore, che ha vincolato anche i lavoratori con trattamento contributivo alle regole di uscita pensate per il sistema retributivo». Mostacci ricorda di avere proposto, cinque anni fa, una «pensione a pezzi» per i lavoratori in regime misto, che scorporasse l’assegno contributivo da quello retributivo in caso di pensione anticipata, con il primo da corrispondere subito e il secondo al maturare dei requisiti anagrafici o di anzianità. Una modifica senza costi che, assicura, avrebbe evitato le varie Quota 100, 102 e 103, quelle sì sanguinose per le casse statali.
Come andare in pensione quando si vuole?
Ora ci riprova con la proposta di «pensione lavorativa» tout court che consenta di smettere di lavorare «a piacimento» e «senza gravare sui conti pubblici», semplicemente chiedendo allo Stato di restituire all’interessato quanto ha versato e consentirgli di usarlo per vivere per un ragionevole lasso di tempo: quanto «ragionevole», pare di capire, sarebbe il neopensionato ad assumersi la responsabilità e la libertà di stabilirlo, ma di certo scongiurerebbe il rischio di godersi il montante maturato troppo tardi, e per troppo poco tempo.
Il nodo dei contributi
Questa rivoluzione previdenziale, sostiene lo studioso, è in sé fattibilissima, ma «metterebbe a nudo la vera questione che si dovrebbe affrontare, ovvero l’insufficienza dei contributi versati dai giovani lavoratori per avere in futuro una pensione dignitosa, che implica non più la sostenibilità del solo sistema previdenziale, ma quella dell’intero tessuto sociale negli anni a venire». Di certo però «la risposta non può essere quella di prendere tempo, trincerandosi dietro i vincoli di bilancio e al tempo stesso continuando a sprecare soldi pubblici con misure tampone che avvantaggiano solo pochi». È il derby leghista di cui si diceva all’inizio, che occupa la scena e i titoli. Non sarebbe meglio approfondire proposte come quella di Mostacci e capire se davvero si possono liberare milioni di persone senza appesantire i conti pubblici?