Marco Molendini: la lagna Mogol-eredi Battisti

(da Facebook) Diciamo la verità: altro che affetti spezzati, è solo questione di soldi. Non ci può essere un altro motivo nella lunga guerra dei Roses che divide Mogol da Grazia Letizia Veronese. Del resto se il «ragionier Giulio Rapetti, imprenditore, in arte Mogol, paroliere» (così lo definisce in una lettera pubblica la vedova Battisti) continua a far causa per «perdita di chance» (l’altro ieri la signora ha rivelato che ce ne è un’altra in ballo) si capisce come stanno esattamente le cose. A quali chance pensa Mogol? Le canzoni di Lucio (e sue), a lungo negate alle piattaforme per l’ostinato rifiuto della famiglia Battisti, ora sono disponibili e i dischi, si sa, non si vendono.

Ma anche lo streaming, in questo caso, non fa faville nonostante le continue riesumazioni del ricordo: l’ultima occasione è stata una piatta e scontata celebrazione televisiva per i 25 anni dalla morte di Lucio mandata in onda da Rai1 (i dirigenti farebbero bene a guardare sulle piattaforme come si fanno i documentari sui personaggi musicali: ce ne sono a decine). Su Spotify, la piattaforma più seguita, Battisti ha un milione e mezzo di ascolti al mese, una bazzecola rispetto ai 23 dei Maneskin, ai 9 di Sferaebbasta, anche se quasi quanto Vasco che ne ha 1,9 milioni. Oltretutto, con la micragna che accompagna le royalties dello streaming, un milione e mezzo di ascolti corrisponde a poco più di cinquemila euro (per curiosità: Il mio canto libero, la più cliccata su Spotify, ha raggiunto un totale di 27 milioni pari a 100 mila euro).

Quindi quali sono queste chance? La risposta viene spontanea: l’utilizzo dei brani più famosi del repertorio pop nazionale soprattutto per la pubblicità (e forse per qualche colonna sonora o sigla tv). Tipo, se quella chance invocata da Mogol ci fosse, abbinare «Non sarà un’avventura» alla pubblicità delle navi da crociera. Insomma, a questo punto la vedova Battisti e suo figlio Luca Filippo Carlo, che fa il cantante e ci ha provato con il nome d’arte di Lou Scoppiato ma anche con una band punk Hospital (13 ascolti mensili su Spotify), abbiano tutte le ragioni di essersi stufati delle continue mozioni degli affetti (interrotti) di Mogol seguiti da infinite azioni giudiziarie: sono passati 43 anni dal divorzio della celebre e rimpianta ditta e la storia della loro separazione adesso è diventata una lagna infinita, come per decenni è stata la storia del suicidio negato di Luigi Tenco. Oltretutto, visto che è di questo che si parla, di soldi non mi pare che tiri aria.