5 caratteristiche che i populisti hanno adottato da Mussolini (ma il pd non lo sa)

(sunto di Antonio Scurati, Repubblica, 18/9/23) Molto si è discusso, di recente, della presunta eredità politica del fascismo. Saltando ogni preambolo e inquadramento storico per mancanza di spazio, vorrei provare a illustrare una tesi maturata in anni dedicati alla comprensione narrativa del ventennio fascista: l’attualità politica del fascismo non va cercata in un suo presunto ritorno — e nemmeno in un fascismo eterno, come sosteneva Eco — ma nel fatto che Benito Mussolini sia stato l’antesignano e l’archetipo di ogni leader populista, non soltanto italiano e non soltanto di destra, del secolo a venire. Solo concentrandosi sulla seduzione populista — e non sulla violenza omicida che pure fu caratteristica essenziale e originaria del fascismo storico — si può comprendere, a mio avviso, quali caratteristiche consentirono al duce, unite alla violenza squadrista, di sedurre l’Italia dopo averla stuprata e perfino mentre la stuprava. E anche di capire cosa sopravviva oggi della sua eredità. Proporrò, dunque, una sorta di pentalogo del Mussolini populista.

1)Prima regola del Populismo: il leader populista afferma “io sono il popolo”. E, per converso, con una sorta di crampo logico-grammaticale, afferma “il popolo sono io”. Questo “Io” onnivoro precede ogni pensiero, argomentazione, programma politico; comporta una fortissima accentuazione di tipo personalistico.

2)Seconda legge del Populismo inventato da Benito Mussolini è il “guidar seguendo”. Mussolini ha una formidabile intuizione su ciò che diventerà la politica nell’era delle masse, che allora si apriva e oggi prosegue nella sua fase matura; capisce che le masse saranno guidate da un leader che non le precederà, che non starà dinnanzi a loro, come la parola inglese “leader” suggerirebbe; saranno, invece, nel dominio di quel leader capace di guidare le masse seguendole, stando un passo dietro a loro.

Il fondatore del fascismo diceva di sé con orgoglio “io sono l’uomo del dopo”; cioè io arrivo un attimo dopo sulla scena dell’evento politico. 3)Ecco la terza regola: un leader populista pratica una politica della paura.

E qui incontriamo un comma alla terza legge: il leader populista è capace di operare una sorta di commutazione alchemica fra la paura e l’odio; prima installa la paura, soffia sulle “passioni tristi”, sul senso di delusione, di tradimento, sul rancore dei reduci alle prese con il carovita e la fatica di sbarcare il lunario. Dice: «La minaccia è gravissima, è incombente, è mortale; il pericolo sono i socialisti; sono stranieri invasori accampati sul territorio della Patria. Tu devi averne paura». Poi, però, fa una seconda subdola mossa quando quella vocina maligna aggiunge: «Ma tu non ti devi limitare ad averne paura, devi odiarli; non basta temere, bisogna odiare». Il vangelo populista invita, quindi, a passare da un sentimento passivo, reattivo, depressivo, quale è la paura, a un sentimento attivo, espansivo ed euforizzante come l’odio.

E qui viene lo schema di gioco vincente, ed è il quarto punto. 4) Si intitola “brutale semplificazione della vita moderna”. Mussolini intuì che i suoi contemporanei si sentivano schiacciati dalla enorme complessità della vita moderna.

E, infatti, la propaganda è questa: la Realtà non è complessa come sostengono i vecchi liberali che predicano l’idea della rappresentanza proporzionale parlamentare; la Realtà non è complicata come raccontano i socialisti con le loro astruse teorie, la dottrina marxista, la struttura, la sovrastruttura etc; la Realtà è molto più semplice. Tutto è riconducibile a un unico problema, quell’unico problema è riducibile a un nemico, quel nemico viene individuato in uno straniero, straniero invasore. Lo straniero invasore è uccidibile. Problema risolto.

Cent’anni fa il populismo fascista individuò il “nemico semplificatore” nel socialista. Oggi lo si individua nell’immigrato. L’intera vita politica, se riletta entro questa prospettiva semplificatrice, si riduce al fatto di avere un nemico da odiare. E qui interviene un ribaltamento di prospettiva, lo schema di gioco vincente. La vocina seducente e maligna ti sussurra: non ti devi guardare alle spalle, non devi scrutare con terrore il cielo sopra di te, il bosco di fianco a te. La Morte non arriva da tutte le parti, come nelle trincee, invisibile, ignota, intangibile. Devi solo guardare davanti a te. Lì c’è il tuo nemico, il socialista invasore e qui, al tuo fianco, ci sono io, il fascista col manganello. Tutta la realtà si riduce a questo.

Che sospiro di sollievo! È così semplice la vita: è sufficiente odiare il socialista; c’è qui di fianco a me il fascista col manganello pronto a picchiarlo. A che serve il Parlamento con la sua faticosa complessità?!

E, infatti, non a caso, la violenta polemica anti-parlamentare, che dipinge il Parlamento come un’inutile complicazione, un luogo di corruzione e inganno, un freno al processo di decisione politica, caratterizza tutti i movimenti populisti alle loro origini. L’archetipo di ogni successivo leader populista, Benito Mussolini, già nel 1919 definisce il movimento neonato dei Fasci di combattimento un “anti-partito”, parole che riecheggiano a cento anni di distanza in quasi tutti i movimenti populisti, di destra e di sinistra; lui dice di se stesso «io non faccio politica. Io sono l’anti-politica».

Infine, ritorniamo al principio. Tutto ciò delinea il profilo di una preferibilità dell’autoritarismo alla democrazia; preferibilità che Mussolini dichiara apertamente mentre i populisti di oggi la negano (o la dissimulano, come preferite), pur non esimendosi dall’erodere le istituzioni democratiche. Le differenze tra i populisti sovranisti di oggi e i nazionalisti fascisti di Mussolini sono molte e cruciali — a cominciare dall’uso sistematico della violenza fisica — ma li accomuna la minaccia alla qualità e pienezza della vita democratica riassunta nella centralità autoritaria del Capo, del leader in cui il popolo s’incarnerebbe, quel Capo che non precede ma segue, che pratica una politica della paura, che poi la commuta in odio, che attua una brutale semplificazione della complessità della realtà. E che (V caratteristica) 5) parla attraverso il proprio corpo. Questa è l’ultima lungimirante invenzione di Mussolini. Già negli anni Venti del Novecento il duce fu il primo a mettere il corpo al centro della scena politica.