Scuola, il voto in condotta e l’importanza di un “no”

(Edoardo Affinati) Il voto di condotta è sempre stato un crocevia fondamentale nelle scelte pedagogiche, al punto da assumere un valore politico: e così ci si continua a dividere in modo artificiale fra chi vorrebbe scaricarlo di peso e chi, sulla scia dei recenti provvedimenti governativi, lo userà come un pugno di ferro.

Chiunque abbia a che fare con i processi educativi — non in teoria, ma nella pratica quotidiana — non riesce a trattenere un moto d’insofferenza di fronte a questa trita e ritrita dicotomia perché la sente strumentale, ideologica, presuppositiva.

Il voto di condotta dovrebbe essere la stazione finale di un lungo percorso. Dipende da come lo si applica, ogni adolescente è diverso da un altro.

Noi docenti siamo chiamati ad essere amici e maestri. Conta la qualità della relazione umana che riusciamo a realizzare in classe. Chi venisse bocciato per la condotta segnalerebbe un problema irrisolto.

Ancora una volta don Lorenzo Milani, citatissimo e tuttavia spesso fatalmente incompreso anche nel corso del presente centenario della nascita, ci viene in soccorso con le sue reazioni provocatorie e spiazzanti.

Un giorno il priore venne invitato a Vicchio insieme agli scolari di Barbiana per vedere Roma città aperta di Roberto Rossellini. I piccoli montanari scesero giù in paese preparatissimi sul film, ma trovarono molti studenti delle medie che stavano lì contenti solo di non essere in aula, i quali fecero una gazzarra tale da disturbare la proiezione. Don Lorenzo intervenne a muso duro.

La sera stessa, tornato in canonica, scrisse una lettera al professore che aveva organizzato l’incontro: “Ieri ho trattato male quei poveri ragazzi, ma cinque minuti dopo m’ero già accorto d’aver sbagliato destinatari. I ragazzi son dei poveri ingannati. La colpa è vostra. I ragazzi di qui sono stati unanimi in questo giudizio. Quella non è una scuola, è una pubblica piazza. Ognuno tira per la sua strada disinteressandosi del prossimo”.

E adesso leggiamo bene le parole successive: “Vi siete forse illusi di poter fare una scuola democratica? È un errore. La scuola deve essere monarchica assolutista ed è democratica solo nel fine cioè solo in quanto il monarca che la guida costruisce nei ragazzi i mezzi della democrazia”.

Molti quando leggono questa frase, entrata nella leggenda aurea a cui attingono a piene mani i biografi e gli esegeti, si limitano a sogghignare attribuendola al caratteraccio del priore.

Invece il professor Agostino Ammannati, docente del liceo Cicognini di Prato, il quale nel tempo libero saliva a Barbiana per fare scuola insieme a quello strano prete, la prendeva molto sul serio.

Quando venne invitato a commentarla da Neera Fallaci, ci mise il carico da novanta dichiarando: «Don Lorenzo diceva: “i ragazzi con me hanno sempre torto!”. Non credeva agli spontaneismi in educazione; non credeva affatto che un ragazzo potesse essere abbandonato alle sue tendenze, ai suoi impulsi naturali. Per lui un ragazzo era come una vite che va innestata e potata e curata e sostenuta perché possa dare il prodotto migliore».

Parole dure da accettare per la cultura novecentesca, cresciuta sull’enfasi libertaria, sulla deflagrazione del desiderio, sull’individualismo assoluto. Molta parte della sinistra infatti le ha rimosse, preferendo aderire alla falsa immagine di don Lorenzo come padre dell’egualitarismo indifferenziato di marca sessantottina.

Eppure dovrebbe essere questo, oggi più di ieri, il cuore educativo di ogni possibile I care! Tu, scolaro, figlio, giovane in crescita, mi interessi come persona. Per me sei unico, insostituibile, prezioso più dell’aria che respiro. Capito? Quindi io scuola, io famiglia, io padre e madre, non ti lascio campo libero, non ti faccio fare ciò che vuoi.

Devo conquistare la tua fiducia e incarnare il limite che tu non devi superare. Accetto di prendermi le bastonate. Divento il tuo ostacolo, persino, se necessario, il tuo nemico. Ci starò male, lo metto già in conto, perché poi tu mi volterai le spalle per chissà quanto tempo.

Dovrò ricucire il rapporto. Alla fine, voglio sperarlo, se anche ti abbiamo dato il sei in condotta, sapendo che in quel momento estremo stavamo certificando come consiglio di classe innanzitutto la nostra sconfitta, magari fra qualche anno, ammetterai che avevamo ragione.

E non sarai tu a riconoscercelo, bensì un altro allievo che stava sempre zitto, in silenzio, non interveniva mai, ma aveva visto tutto.