Ci siamo, anche Meloni cadrà per lo spread e non per Supercazzola Schlein

Non c’è dubbio che il nostro Governo abbia fatto una scelta di campo politico militare inequivocabile nella sua adesione allo schieramento Atlantico. Lo abbiamo visto anche due giorni fa con gli interventi di Giorgia Meloni all’Assemblea Generale dell’Onu.

Molto più fumosa e persino pericolosa è invece la scelta di campo che si è profilata sul piano economico, con due proposte, una fiscale — la sovrattassa sugli extraprofitti bancari — e una regolatoria — gli emendamenti introdotti dai relatori nel disegno di legge Capitali di iniziativa governativa — per attribuire poteri mai visti alle minoranze in società quotate in borsa.

Le due proposte sono state giudicate con preoccupazione poco lontano dalle Nazioni Unite, ai piani alti di Wall Street e fino a Long Beach a Los Angeles, dove pochi giorni fa si è riunito il Council of Institutional Investors, l’associazione guida di investitori istituzionali americani che rappresenta — da BlackRock a Vanguard, al Tiaa-Cref ai fondi pensione statali — 44.000 miliardi di dollari. Un autorevole membro dell’associazione è incredulo, mi dice: ”dare una rappresentatività del 49% in consiglio a chi ha il 20% delle azioni sarebbe gravissimo, finirebbe per sconvolgere gli equilibri aziendali, non consentendo al capo di governare”. Chi investe in Italia insomma, improvvisamente non si sente più sicuro. Anche perché, vista l’originalità della cosa, se ne sta ormai occupando la stampa finanziaria internazionale. Il Financial Times di due giorni fa dava un contesto molto chiaro, legando gli emendamenti a vantaggio delle minoranze al conflitto in corso attorno a Generali e Mediobanca. Una tassa speciale per “extraprofitti” delle banche poi, non si trova in alcun manuale di scienza delle finanze, quella disciplina economica che si occupa del delicatissimo e centrale ruolo dello stato nella redistribuzione del reddito.

Si tratta di proposte insomma, che vanno contro i principi fondamentali che regolano le economie di mercato. E che dimostrano quanto questo governo non abbia ancora compreso quanto il binario transatlantico politico sia imprescindibile nei suoi valori fondamentali da quello economico e finanziario. Non è un caso che i membri del G7, che ospiteremo l’anno prossimo in Italia, siano definiti “democrazie di mercato”. L’Atlantismo nei suoi valori essenziali deve essere misurato su entrambi i fronti. Quello della difesa delle democrazie contro i bullismi dell’autoritarismo, come succede per l’attacco ingiustificato della Russia contro l’Ucraina. Ma anche per l’applicazione e la protezione di un sistema di regole e scelte economiche che consentano ai mercati dei capitali delle economie avanzate di muoversi con certe garanzie, affinate spesso evolvendo negli ultimi Settant’anni. E possono esserci differenze su dettagli minori anche fra Europa e Usa o all’interno dei rispettivi confini, ma guai a scardinare le fondamenta. Anche perché se a nostre possibili incongruenze regolatorie e fiscali si aggiungono questioni strutturali, come l’appesantimento dei conti pubblici (come abbiamo registrato ieri) lo spread puo’ aumentare con accelerazioni pericolose per il servizio sul debito e con danno incalcolabile per la competitività delle nostre imprese.

Mi sono accorto a New York, durante gli incontri Onu, che non tutti nel nostro governo percepiscono l’importanza di viaggiare su un unico binario transatlantico, politico e economico. A costoro e ad altri occorre dire: attenzione!. Perché il pericolo immediato è molto più serio sul fronte economico. Emendamenti come quelli suggeriti al Ddl Capitali rischiano di travolgere molte delle nostre grandi aziende pubbliche portando il caos. Danno anche l’impressione che il nostro governo non abbia ben presente alcuni aspetti fondamentali che regolano le democrazie di mercato. E possono portare lo spread alle stelle. Forse per questo ieri il sottosegretario Freni ha dato per le proposte indicazioni di possibili “sintesi” diverse da quelle attuali e alcuni esponenti di partito nella coalizione di governo, come il ministro Giorgetti, suggeriscono di ammorbidire o cambiare le proposte. Ma su questo non possono esserci voci isolate. Occorre che tutti i protagonisti al centro di queste proposte, anche istituzionali, ad esempio Assogestioni, finora assente, intervengano con chiarezza. E che, con altrettanta chiarezza, il governo, unito, e nella persona del Presidente Giorgia Meloni, prenda le distanze da proposte che servono l’interesse di piccoli gruppi di interesse a danno del paese intero e della sua credibilità internazionale.