Avvocati giù, informatici su; l’AI mette a rischio 300 milioni di posti di lavoro

La vera questione non è “se”. Né “quando”. Sta già succedendo: l’intelligenza artificiale è entrata in ufficio e lavora in mezzo a noi. A volte insieme agli uomini, un moltiplicatore di produttività. A volte — c’è chi teme sempre di più — al loro posto.

«Fra qualche tempo diremo che il 2023 è stato l’inizio della quarta rivoluzione industriale», è sicuro Massimo Ruffolo, ricercatore del Cnr e fondatore di Altilia, azienda che sviluppa algoritmi per automatizzare l’analisi dei documenti. Per esempio le centinaia di fogli con cui le banche valutano i crediti difficili: in un paio d’ore l’AI spreme informazioni su cui un bancario Sapiens sapiens faticherebbe giorni. Ma oltre che estrarre, l’AI ragiona sempre meglio. E ChatGPT ha rivelato che adesso sa pure generare parole e immagini. Il mestiere di impiegati e professionisti, programmatori e illustratori. «È uno strumento che libera il tempo e la creatività delle persone, ma certo, per fare le stesse operazioni ci vorrà meno forza lavoro», dice Ruffolo. Anche le prime multinazionali hanno iniziato ad ammetterlo: entro il 2030 British Telecom sostituirà 10 mila dipendenti con l’AI; Ibm ne rimpiazzerà 7.800.

300 milioni di posti di lavoro a rischio
È iniziata quindi. E se davvero l’AI si confermerà una tecnologia generale, come la macchina a vapore o il Pc, la trasformazione del lavoro non potrà che accelerare. Sono arrivate le prime stime, con tutti i caveat del caso. La banca d’affari Goldman Sachs prevede che l’equivalente di 300 milioni di posti di lavoro a livello globale sarà esposto all’automazione. Mentre OpenAI, l’azienda che ha creato ChatGPT, dice che due lavoratori su dieci vedranno rivoluzionata almeno metà dei loro compiti.

La vera questione, allora, è “come”. E il primo dato è che l’automazione si sposta dalle fabbriche agli uffici, dalle tute blu ai colletti bianchi. Entriamo in un call center, uno dei settori dove i chatbot — i programmi in grado di chiacchierare — sono arrivati prima. «Con ChatGPT c’è stato un salto pazzesco, ancora tutto da scoprire, il nostro problema semmai è che tende a dialogare troppo», dice Gianluca Ferranti, capo dell’innovazione globale di Covisian, colosso del settore. Racconta le due facce dell’AI: da un lato supporto al lavoro umano, come quella che suggerisce in tempo reale all’operatore l’impatto di un’azione; dall’altra sostituzione, come l’assistente virtuale nell’e-commerce di una multinazionale del caffè: «C’è sempre la possibilità di rivolgersi a un essere umano, ma con la nuova tecnologia l’interazione viene automatizzata il 10-15% di volte in più». Significa che lì servono meno persone, che Covisian sposta su attività diverse, altre aziende chissà.

Dagli avvocati ai creativi
Ma ad essere esposti non sono solo i compiti più basilari e ripetitivi di figure meno qualificate, come assistenti o impiegati. Potrà essere automatizzato metà del lavoro che si fa in uno studio legale: software come CoCounsel possono fare le ricerche preparatorie per una causa o perfino per una grande fusione societaria, quelle che oggi si affidano ai giovani avvocati. Lo stesso vale per ingegneri, architetti e perfino informatici: Copilot è già un buon programmatore livello base. Gli algoritmi non prenderanno le decisioni finali — si spera — ma forniranno a chi lo farà, i livelli più alti, pre-lavorati che oggi sono squadre di dipendenti assai qualificati a preparare. Morale: impieghi intellettuali a redditi medio-alto sono più a rischio di quelli manuali. E neppure la creatività, roccaforte del Sapiens e valore aggiunto di copywriter, designer e scrittori è al sicuro, se Dell-E genera immagini da una semplice descrizione. «Mi è successo», racconta Fabio Berti, 26 anni, agli inizi da illustratore. «Un ristorante si era informato per dei volantini pubblicitari con delle caricature, ma dopo una settimana mi hanno detto che avrebbero fatto con un software».

Una rivoluzione da gestire
Prima di cedere allo sconforto, o alla rabbia luddistica, bisogna considerare il lavoro che sarà creato, insieme a quello rimpiazzato. Gli esperti di “prompt” — i comandi con cui indirizzare l’AI — sono solo un assaggio della nuova occupazione che verrà, e che non possiamo neppure immaginare: per questo nessuno azzarda previsioni sul saldo finale. La stessa Goldman Sachs dice che l’“integrazione” tra algoritmi e uomini sarà molto superiore alla “sostituzione”. Senza contare che l’AI promette di rendere accessibili nuove competenze soprattutto a chi ne ha meno. Qui però entra in gioco un altro “come”, forse il più importante: come riusciremo a gestire la trasformazione. Come regoleremo l’AI. Come formeremo i lavoratori, di oggi e domani, per metterli in condizione di usarla o, se sostituiti, di ricollocarsi. E come redistribuiremo i benefici del balzo di produttività che arriverà, in modo che non sia solo una minoranza, di aziende e lavoratori, a catturarli.