Il manifesto del partito pacifista/L’unità nazionale della vergogna sul prezzo giusto da pagare a Mosca

Per parafrasare l’ex fortissimo riferimento della sinistra italiana, ante Contem natum, uno spettro si aggira per l’Europa. Quello del pacifismo. E malgrado, sempre parafrasando Karl Marx, tutte le potenze della vecchia e malconcia Europa atlantista si siano coalizzate contro di esso, il pacifismo si fa doppiamente manifesto: mostra con orgoglio e fiducia il proprio cangiante volto rossobruno e rivendica apertamente il proprio progetto.

Se dunque il manifesto del partito pacifista, scritto a milioni di mani dai contrattisti del gangster del Cremlino e dai volenterosi fochisti e figuranti dell’odio anti-occidentale e anti-europeo, dilaga nel senso comune del vecchio continente – quanto costa questa guerra, che c’entriamo noi con gli ucraini, che bisogno c’era di sfidare l’ira di Putin – in Italia, con ancora maggiore fortuna, sembra destinato a ricomporre quell’unità nazionale della vergogna che, dall’ascesa dell’ex colonnello del KGB ai vertici del Cremlino, aveva visto tutti i leader politici e di governo (escluso Marco Pannella) inscenare fino al 24 febbraio 2022 quella gigantesca Monaco domestica del lingua-in-bocca con il padrone dei destini della Russia e delle terre russificate a forza, con un disegno imperiale dichiarato.

Non bisognava credere a quel che Putin diceva e faceva, a quanti ne ammazzava dentro i confini della Russia e sterminava al di fuori; bisognava credere alle magnifiche sorti e progressive delle relazioni Russia-Europa-Italia, che i campioni del realismo leggevano nei fondi del caffè di quel ridicolo determinismo storico e geografico, con ambizioni scientifiche e retoriche iniziatiche, su cui i professori Lucio Caracciolo e i dottori Dario Fabbri fondavano e divulgavano la certezza che mai la Russia avrebbe invaso l’Ucraina, mentre già i suoi carrarmati puntavano non solo su Mariupol, ma direttamente su Kyjiv.

Se, come noto, il posizionamento euro-atlantico del governo Meloni è stato imposto più dalla debole legittimazione internazionale dell’esecutivo che dalla forza dell’autocritica sul credito unanimemente riconosciuto a Putin e sulla lettura, come minimo, riduzionistica ed erronea dell’invasione dell’Ucraina del 2014, a sinistra la (benedetta) intransigenza del Partito democratico sul sostegno a Kyjiv era stata trainata nel 2022, come bene si è compreso in seguito, essenzialmente dall’intransigenza di Draghi.

Lo scenario è ora decisamente cambiato. Dopo il nuovo attacco di Mosca quest’Italia naturaliter putiniana era andata semplicemente in sonno, ma ora torna a fare capolino, a destra come a sinistra, con sempre maggiore baldanza e involontaria sincerità.

È successo prima, con eclatante evidenza, a sinistra, dove la rincorsa a Conte e a quella costola dell’antagonismo parrocchiale, sindacale e centrosocialistico che è la sinistra-sinistra, ha reso il Pd più un punto di equilibrio che un centro di iniziativa e di pensiero. Uno spazio vuoto e bianco che ciascuno riempie e colora come può e come sa. A maggior ragione sulla guerra, parola d’ordine che si torna a pronunciare a quelle latitudini con l’orripilato moralismo – la pace prima di tutto – con cui gli stalinisti italiani degli anni Cinquanta esecravano l’istituzione della Nato. E chi siamo noi, penserà Elly Schlein, per giudicare Gianfranco Pagliarulo, anzi facciamo anche con lui un bel presepe anti-fascista e diamo il cinque e il pugno chiuso anche a quelli che… «disarmiamo i nazisti di Azov».

Le cose stanno però cambiando anche a destra, dove le parole di Meloni – un po’ disperate, un po’ ricattatorie, un po’ pavlovianamente opportunistiche – sulla necessità di tenere insieme le ragioni del diritto e quelle del consenso, e perfino quelle del migliore della compagnia, il Ministro Crosetto, fanno pensare che per il nostro esecutivo alla fine lo sbocconcellamento eteroguidato dell’Ucraina possa essere il prezzo giusto di una pace destinata a farsi, col trascorrere del tempo, sempre più costosa e impossibile.

D’altra parte, è pur sempre la destra in cui, come un sol uomo, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Meloni fino a poco più di un anno fa (Berlusconi e Salvini anche dopo) denunciavano nella guerra di Putin e nelle annesse sanzioni occidentali un errore o un oltraggio dell’Europa e degli Stati Uniti alla Russia democratica e cristiana. È pur sempre la destra che, se mai Trump tornasse alla Casa Bianca anziché finire, come dovrebbe, in galera, stapperebbe le bottiglie migliori e lo renderebbe una sorta di Vannacci transoceanico, campione e icona della battaglia contro il pensiero unico.

A Mosca sanno che a questo punto la guerra non si può vincere, ma si può solo perdere o provare in qualche modo a pareggiare rivendicando la conquista di qualche lembo dell’est ucraino e la tenuta della Crimea; la strategia per il pareggio è quindi questo catenaccio militare che serve ad allungare il brodo, a provare (inutilmente) a piegare la fiducia degli ucraini con azioni tecnicamente terroristiche su obiettivi civili e a tentare (con ben migliori risultati) di logorare l’opinione pubblica europea con la promessa di una guerra endemica infinita e di dolorose conseguenze economico-sociali.

In questo scenario, classi dirigenti responsabili dovrebbero provare a spiegare all’opinione pubblica italiana che una pace subita a queste condizioni – non solo dall’Ucraina, ma dall’Europa – non servirebbe ad affrancarsi dalla minaccia della Russia, ma a perpetuarla con conseguenze ben più gravi e di ben maggiore durata dal punto di vista pratico. Classi dirigenti un po’ fellone e un po’ accattone, come quelle che ci meritiamo, provano invece a incassare anch’esse i frutti di questa stanchezza, a trasformarla in una rendita elettorale, a far passare il parziale e necessitato sacrificio dell’Ucraina come una prova suprema di devozione patriottica.

È tutto esattamente come quando si chiudevano entrambi gli occhi sulla minaccia di Mosca, per rivendersi agli italiani brava gente l’affarone della dipendenza energetica dalla Russia a prezzi di saldo. Un suicidio differito presentato come un facile guadagno sulla pelle degli altri. Ecco, la pace di cui in Italia destra e sinistra tornano ignominiosamente a riempirsi la bocca è questa cosa qua.