L’ipocrita complessità di chi minimizza i crimini di Hamas contro gli ebrei

C’è il video di una ragazza con i pantaloni zuppi di sangue che viene presa per i capelli e messa su un camion. Eh, però è complesso.

C’è il video di una ragazza con gambe e braccia rotte su un camion, seminuda, a faccia in giù, non si muove, la toccano, ridono, le tirano i capelli, noi sappiamo cosa è successo. Eh, però è complesso.

C’è il video di una ragazza portata via su una motoretta che urla di non ucciderla, e noi sappiamo cosa succederà. Eh, però è complesso.

C’è una ragazza che ha scritto che sua nonna è stata ammazzata in casa, lo ha scoperto perché chi l’ha ammazzata è entrato nel profilo Facebook della nonna e ha caricato le foto dell’omicidio. Eh, però è complesso.

C’è il video di un bambino israeliano che non avrà più di otto anni che viene umiliato e abusato da suoi coetanei palestinesi. Eh, però è complesso.

Ci sono quasi trecento morti a un festival musicale, chi era lì racconta che le ragazze venivano stuprate vicino ai cadaveri dei loro amici, poi alcune le ammazzavano, altre le hanno lasciate vive, e cosa sia peggio io non lo so e non lo sa nessuno. Eh, però è complesso.

Eh, però è Israele. Israele è un buco, e tutti noi che abbiamo la famiglia che vive là conosciamo almeno una persona a cui è morto un amico o un parente negli ultimi due giorni. Questa guerra non è lo Yom Kippur, non assomiglia a niente di quello che è stata la storia di Israele fino a oggi, e non finirà bene.

Non starò qui a fare analisi geopolitiche perché al contrario di Twitter non ne sono in grado, ma quello che so è quello che mi diceva mia nonna: non finirà mai, e non finirà mai perché la religione non finisce. Da una parte e dall’altra.

Ho visto la gente chiedersi come sia stata possibile l’ascesa di Adolf Hitler, e ho visto che se lo domandavano proprio mentre scandivano la parola “complessità” sotto le foto di ragazze morte, e sono anche piuttosto certa che oggi qualcuno Hitler lo inviterebbe in uno studio televisivo perché è importante esercitare il contraddittorio, il pluralismo, la complessità. Che cos’è l’antisemitismo? Nessuno pare essere più in grado di rispondere, perché se tutto è diventato fascismo, contemporaneamente niente è più antisemitismo. Sarà che è complesso.

Stiamo assistendo a questa grave epidemia di dissonanza cognitiva, o malafede, dove davanti a uno stupro, davanti a estremisti religiosi, davanti ai bambini rapiti, davanti all’Iran che festeggia, ci sono queste persone che insomma, sì è grave, però Israele poteva pure pensarci prima. Le stesse persone, che si percepiscono sempre divulgatrici e Golda Meir, un giorno sì e l’altro pure trovano il tempo, tra la promozione di un podcast e l’altro, di parlarci di: patriarcato, femminicidi, cultura dello stupro, consenso, catcalling, femminismo intersezionale, victim blaming. Eh, però se c’è in mezzo Israele non sono mica sicure che sia il caso dire mezza parola per queste donne, metti che poi qualcuno si risente, metti che il podcast poi va male, metti che avere un’idea si riveli pericoloso.

Non avevo mai visto qualcosa fare veramente il giro come quelle ragazze e quei ragazzi con lo striscione «Queers for Palestina», e io spero per loro che non scoprano mai cosa fa Hamas alle donne se gli fai notare che hanno sbagliato pronome.

In tutti questi anni non era mai capitato che nonostante i video di stupri, esecuzioni, ragazzi ammazzati con una vanga spaccata in testa o decapitati, bambini rapiti, anziani rastrellati, corpi morti portati in giro per le strade, venisse detto in maniera così disinvolta: eh, però è complesso.

Anzi no: è già successo con l’Ucraina. Non avevo mai visto la celebrazione di un massacro in giro per il mondo con così tanti applausi in piazza e da casa, lettere commosse di studenti di Harvard, silenzi di opportunità.

Non avrei mai pensato che davanti alle prove di crimini di guerra, prove documentate in diretta, ci fosse gente che dice che, alla fine, bisogna capire che ci sono dei pregressi. La verità non è mai complessa, la verità è che le vittime di Hamas sono gli israeliani, e sono i palestinesi. Hamas è un’organizzazione terroristica, non è resistenza, non è un movimento di liberazione, non è un gruppo estremista, non rappresenta i palestinesi tutti.

Mio fratello, in questo momento tra le sirene e le bombe, e molto più spiritoso di me, aveva preso parte alle manifestazioni contro il governo Netanyahu portandosi in piazza un sofà, realizzando così il sogno della rivoluzione dal divano. È questa l’unica idea che avrei voluto avere io, in modo da dare la definitiva risposta a chi dice «eh facile parlare dal salotto». Sì, è facile, ma mai quanto parlare di complessità. Mio fratello ha due figli, il più grande ha circa l’età del mio. L’unico problema attuale di mio figlio è quello di giocare o meno titolare nella squadra di calcio, mentre il problema del figlio di mio fratello è sopravvivere. Chissà se i bambini ne capiscono la complessità.