Pnrr, lo schiaffo spagnolo: da Madrid una lezione su come gestire il Piano e i suoi investimenti

Sul Pnrr l’errore fatale c’è stato, eccome. Ed è stato chiamarlo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, invece che, più concisamente, Plan de Recuperaciòn. E, soprattutto, non averne affidato la gestione direttamente agli spagnoli.

Fra ripensamenti, indecisioni, giri in tondo, siluri a progetti e beneficiari sgraditi, le traversie del nostro piano hanno, infatti, assunto il passo del gambero, all’indietro, con progetti e promesse che sembrano sfuggire come acqua fra le dita: il Pnrr italiano si sta afflosciando come un pallone bucato, proprio come la Nazionale di calcio. Erano troppi i 190 miliardi di euro che abbiamo chiesto? Era inevitabile che il meccanismo si inceppasse e gli obiettivi, a scaglioni, sbiadissero? Niente affatto: non è vera nè la prima, nè la seconda cosa. E la prova viene dalla Spagna.

La marcia trionfale della Spagna
Gli economisti del sito lavoce.info, sulla base del rapporto sulla realizzazione del NextgenEu diffuso a fine settembre da Bruxelles, raccontano la realizzazione del Plan de Recuperaciòn come una sorta di marcia trionfale. Ha aiutato che a realizzarlo sia stato chiamato un governo solo, quello di Pedro Sanchez (peraltro, quasi di minoranza), invece dei nostri tre (Conte, Draghi, Meloni), per giunta di colore diverso. Anche questo, però, in fondo, fa parte del sistema paese. Tuttavia, è il contrasto fra la palude della burocrazia e della capacità della politica italiana rispetto all’efficienza della macchina politica e amministrativa spagnola che si traduce in uno schiaffo all’Italia.

Come vogliamo giudicare le performances dei due paesi? Per esempio, dalle richieste dei finanziamenti semestrali, ottenibili al raggiungimento degli obiettivi prefissati. L’Italia ha ufficialmente chiesto quattro rate, che dovrebbero essere il segno del progresso raggiunto. Ma Bruxelles ne ha pagate due e la terza solo in questi giorni. La Spagna ha chiesto tre rate e ha incassato tre rate. Perché? Perché la verifica da parte della Commissione del rispetto delle scadenze e degli obiettivi concordati non ha dato, per l’Italia, il risultato atteso.

Lo sapevamo già, ma il dato della Spagna indica che non era impossibile far meglio. Infatti, basta controllare il lasso di tempo che intercorre fra il momento in cui il singolo governo chiede le rate, presentando i risultati, e il momento in cui Bruxelles, verificati quei risultati, effettivamente paga.

Prima rata: la Spagna l’ha ricevuta a 45 giorni dalla richiesta, l’Italia dopo 114.

Seconda rata: 90 giorni per Madrid, 132 per Roma.

Terza rata: 140 giorni per la Spagna, più di 270 per l’Italia.

La macchina italiana è ingolfata
Insomma, non era un compito superiore alle possibilità di qualsiasi amministrazione, ma solo di quella italiana. Che si è preoccupata anche di ingolfare il processo, chiedendo una raffica di revisioni.

Esattamente, la revisione di 190 obiettivi già concordati, quasi un terzo dei 527 progetti presentati. Una buona quota di queste revisioni sono puramente formali. Ma, su 190 progetti da cambiare, abbiamo chiesto di modificare il calendario di realizzazione 38 volte, di ridefinire da capo bisogni e obiettivi in ben 76 casi. E abbiamo rinunciato del tutto a quasi dieci obiettivi. E gli spagnoli? Su 416 progetti hanno chiesto modifiche in 70 casi, ma solo 13 non sono pure e semplici modifiche formali.

Il paradosso, difficilmente credibile a prima vista, è che la disastrata Italia rinuncia a 16 miliardi di euro di fondi. Invece, la Spagna chiede che gliene prestino 84 miliardi più del previsto, raddoppiando le disponibilità iniziali. E il risultato finale corona la débacle: rinunciando ai 16 miliardi, i fondi europei destinati all’Italia scendono a 175,5 miliardi di euro. Quelli spagnoli più che raddoppiano arrivando quasi allo stesso livello:153,5 miliardi. In partenza erano un terzo.

Dove distribuirà questo tesoretto Madrid? L’elenco non vi stupirà: digitalizzazione di tutte le imprese sopra i 49 addetti, 5G, intelligenza artificiale. Poi transizione verde, trasporti sostenibili, ferrovie per i pendolari, strade, ristrutturazioni edilizie. Il punto è che potete scommettere che faranno tutte queste cose per davvero. Che invidia.