Gli ignavi di Dante e quel voto 5 dato a scuola

A scuola, quando presiedevo gli scrutini finali, la mia lotta, durata un’intera vita professionale, l’ho condotta contro il voto 5, che corrisponde, a scuola, all’aggettivo “mediocre”.

Non ne sono mai venuto a capo, anzi son passato pure per fissato. Le obiezioni che mi facevano i docenti adusi a portare agli scrutini finali ( in quelli intermedi il voto è libero e i 5 possono pure avere una ragione) tanti alunni con 5 nelle materie che insegnavano, erano semplici, cosi’ semplici da essere disarmanti:

Se la scala decimale numerica che usiamo per la valutazione comprende il 5, perche’ non dovrei usarlo, caro preside? Se la media aritmetica delle prove orali e scritte che ha fatto l’alunno mi da’ 5, perche’ devo correggerla? Io rispondevo (sulla media aritmetica però mi innervosivo) cercando di far ragionare uomini e donne di cultura, magari con ponderosi studi alle spalle, sul significato del voto mediocre. E’ vero che si usa una scala decimale, ma quattro voti (1,2,5,10) sono poco usati per varie intuitive ragioni. Il 5 è il voto degli ignavi, quelli che dopo un intero anno scolastico, 200 giorni di lezioni, una miriade di prove scritte, orali, oggettive, formali e informali, non sapevano alla fine scegliere tra il bene e il male dell’alunno che stanno valutando. L’alunno Tizio alla fine dell’anno la sa o non la sa la matematica? Si o no? Ni. 5 significa Ni. Roba, come ha spiegato Dante a tutti noi nel canto terzo dell’Inferno, da ignavi.

Il 5 a scuola e’ un voto di “attesa”. Non si decide tra sufficienza (6) e insufficienza (4) ma si aspetta che sia l’intero consiglio di classe a decidere. Ci si affida alla massa, al gruppo dei pari. Vediamo come va nelle altre materie, cosa dicono i miei colleghi, e poi decido se quel 5 scende a 4 oppure sale a 6. Non sarebbe piu’ facile e giusto che ciascuno, dopo un anno intero, decidesse in autonomia lui (o lei) cosi’ che in ogni materia la valutazione dell’alunno fosse chiara e ben definita, un bianco o un nero e non un chiaroscuro, un grigio indefinito? Questa tendenza a non scegliere, a non decidere, a stare nel mezzo, ne’ con gli uni ne’ con gli altri, il voto 5 a scuola lo rappresenta bene. Tant’e vero che ormai la prassi ha finito per accomunare un 5 al 6, ad avvicinarlo alla sufficienza. Chi a scuola mette 5 mostra a tutti un segno di clemenza, tutti sanno che il docente e’ propenso alla fine a salire il voto a 6. E allora perche’ non lo ha messo subito lui il 6? Perche’ e’ un ignavo.

Cosa significa ignavo? Gli ignavi altro non sono che una categoria di peccatori incontrata dal sommo poeta nel suo viaggio di fantasia nel regno dell’oltretomba nella parte dell’Antinferno. La Treccani definisce un ignavo come una persona pigra, indolente nell’operare per una questione di mancanza di volontà e di forza spirituale. Un sinonimo di ignavo può essere codardo. Nella Divina Commedia, invece, Dante definisce gli ignavi come “l’anime triste di coloro che visser sanza infamia e sanza lodo”.

Gli ignavi trovano ampio spazio nel canto III dell’Inferno. Nell’idea di oltretomba di Dante sono quelle persone che nella vita non hanno mai agito né per il bene né per il male, non hanno mai avuto né espresso idee proprie e si sono sempre adeguati alla massa, all’idea del più forte. Tra gli ignavi di Dante sono collocati anche gli angeli che, quando fu tempo, non si schierarono nella battaglia tra Lucifero e Dio.
Alighieri li colloca nell’Antinferno poiché li reputa indegni di qualunque cosa, sia delle gioie del Paradiso che delle pene dell’Inferno: non essendosi mai schierati nella loro vita, infatti, non possono appartenere a uno schieramento una volta morti.

La punizione prevista per gli ignavi dall’autore prevede che essi vaghino nudi per l’intera eternità inseguendo un’insegna che si muove rapidissima e gira su se stessa ( quindi e’ indefinita) mentre vengono punti da mosconi e vespe. Oltre a questo, il loro sangue mischiato alle lacrime viene succhiato via da fastidiosi vermi.
Dante classifica questo tipo di peccatori come coloro “che mai non fur vivi“, disprezzandoli in maniera totalizzante. Da cosa deriva tutto questo accanimento dimostrato da Dante? Perché, secondo un punto di vista teologico, la scelta tra Bene e Male deve obbligatoriamente essere presa; da un punto di vista sociale, poi, nel Medioevo lo schieramento politico del cittadino e la sua conseguente vita attiva erano considerate tappe obbligate per ognuno. Un uomo che nasce come essere sociale si sottrae ai suoi doveri verso la società; a quel punto, secondo la riflessione dell’autore, non è degno di considerazione alcuna. Evito di fare paragoni con la politica attuale dove i cd ” neneisti” sono sempre all’opera (ne’ con lo Stato ne’ con le Br; ne’ con l’Usa ne’ con la Russia; ne’ con Israele ne’ con Hamas…) magari con la furbizia del ” ma anche“: sono per il bianco ma anche per il nero. 

Gli ignavi celebri sono stati, per alcuni interpreti danteschi, Papa Celestino V, o  Ponzio Pilato (che giudicò Gesù Cristo nei momenti seguenti la sua cattura) o Esaù (che rifiutò la sua primogenita barattandola con un piatto di lenticchie). “Che mai non fur vivi” che significato ha?
Con questa frase Dante definisce  i pusillanimi che non hanno esercitato la facoltà di arbitrio – e quindi la ragione – per cui l’uomo è tale e vive.

Insomma, tutti abbiamo studiato Dante a scuola, però forse non abbiamo riflettuto abbastanza su quel canto III dell’Inferno, o sulla sua invettiva che solo i ” i mediocri fanno politica“. I mediocri (voto 5), guarda caso.  Tanti 5 nelle valutazioni scolastiche, dimostrano, a parer mio, che gli ignavi sono davvero troppi.