Tomaso Montanari, a chi può piacere se non a Conte?

Da Firenze arriva la notizia — vera, verosimile, possibile, probabile, comunque stuzzicante, piena di politica — che Giuseppe Conte sta pensando di candidare a sindaco quel meraviglioso personaggio di Tomaso Montanari.

Avete presente, no?
Storico dell’arte assai stimato, curriculum di rara ricchezza, decine di libri scritti, adesso rettore dell’Università per stranieri di Siena, 52 anni portati con aria stropicciata, perfettamente sinistrorsa, piacionesco velo di barba e capelli sempre arruffati (ci sarebbe, tra l’altro, una curiosa somiglianza con Sigfrido Ranucci, il conduttore di Report), allergia alla cravatta e al pensiero convenzionale: un cattolico fiorentino cresciuto nel mito di Giorgio La Pira e don Lorenzo Milani («Altroché comunista come mi urla addosso quel genio di Salvini»), studioso del Bernini e però pure una passione per Karl Marx e, insinuano, per le Binckerstock (ma dev’essere una cattiveria: chi ama il bello non può apprezzare le tremende cioce tedesche), di certo ospite adorato dagli autori dei talk televisivi per il suo talento mediatico così beffardo e pedagogico, astutamente polemico a tutti i costi, e per questo amato e anche molto detestato, talvolta irriso (Giuliano Ferrara: «Gli manca una M decisiva»).

Ecco, Tomaso Montanari: sindaco di Firenze?
Calma. Tra un po’ parleremo con lui.

Però — restando alla cronaca battente — l’idea sarebbe proprio di trasformare Firenze in una specie di laboratorio del nuovo centrosinistra, un «campo largo» in purezza. Conte ci sta lavorando: d’accordo che alle elezioni manca parecchio, ma il piano è intricato, spinoso, e — soprattutto — c’è da convincere Elly Schlein. Che ha incontrato Montanari ai funerali di Sergio Staino, a Palazzo Vecchio: tra mezze parole e concrete allusioni, niente di sicuro, nessuna promessa, però è certo che la tipologia umana, da gruppettaro colto — frase cult: «Saremo nemici delle diseguaglianze, rispettando le differenze» — è di quelle che possono scatenare dolci suggestioni alla segretaria Pd.

Appunto: e agli altri dem, invece?
Dall’archivio del Corriere tirano fuori un ritaglio di giornale. Con Montanari che dice: «Il Partito democratico ha distrutto il Paese». Parlando di Dario Franceschini: «Ha devastato il patrimonio culturale italiano». Negli anni, altri commenti ostili e diffusi: Enrico Letta è un democristiano, Stefano Bonaccini è di destra. Poi, una rasoiata: «Firenze è una città in svendita» (si riferiva al merchandising). Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, l’ha querelato.

Certo bisogna ammettere che parlare con Montanari scatena una piccola vertigine di stupore a noi cronisti costretti spesso a ragionare di politica con politici modesti, che sbagliano i congiuntivi, capitati in politica per caso, per un capriccio del destino, oppure che, pur con una loro storia personale rispettabile, ossequiano come tanti Fantozzi il capo di turno, si inginocchiano alla sua volontà e te la ripetono, sempre sostenendo che sia la migliore possibile (poi, vabbé: c’è il silenzio mortificato della maggior parte dei capetti del Pd, che il loro reale giudizio politico su Elly te lo esprimono solo con una mezza occhiata, a volte).

Montanari parte abbottonato: gentilissimo, ma reticente; empatico, ma sinceramente preoccupato di non fare casini.
«Che posso dire? No comment… Lo so, è una risposta triste».

Insisto, professore: lo farebbe o no, il sindaco di Firenze?
«Guardi, davvero: preferirei non dire nulla».

È vero che lei, a Conte, per accettare la candidatura, chiede un accordo con il Pd?
«Ma non è così che, a mio parere, va posta la questione».

Continui.
«Vede, a me sembra sbagliato ridurre tutto al nome di una persona. Voglio dire che io penso sarebbe importante, anzi fondamentale che ci fosse una convergenza tra Pd e 5 Stelle e una certa sinistra non su un nome, su un volto, per quanto mediatico, ma su una visione della società, su un progetto politico preciso e nuovo».

Lei fa riferimento al famoso campo largo di cui si parla. Poi però bisogna avere anche dei candidati forti, di impatto.
«Capisco quel che vuol dire: ma, qui a Firenze, ci sarebbe davvero l’occasione di fare politica, e non marketing. Elly ha la possibilità di aprire, concretamente, una fase nuova».

Poi s’è parlato per un’altra mezz’ora, però con il patto di tenere la Moleskine chiusa. Comunque Montanari ha confermato di essere stato al liceo classico Dante di Firenze insieme a Matteo Renzi («Le sfortune della vita»). E di essere stato altre volte sul punto di mettersi a fare politica da professionista (nel 2016, la Raggi — «Il vento sta cambiando!» — gli chiese di fare l’assessore alla Cultura al Campidoglio: ma, comprensibilmente, lui rifiutò). Certo l’ego di Montanari è un cobra di grosse proporzioni. Disse: «Ogni volta che leggo Dante non posso dimenticare di essere stato battezzato nello stesso battistero». Luigi Mascheroni sul Giornale: «Solo una cosa adora più degli abissi del Tiepolo: essere ospite dalla Gruber».

Purtroppo mi sono dimenticato di chiedergli quella roba sulle Birkenstock.