Sono tre righe su settecentotrentasette pagine ma bastano, sono tre righe teoriche in un romanzone denso di eventi, sono tre righe di inciso ma descrivono tutta una poetica. A pagina 38 de “Le schegge” (Einaudi), Bret Easton Ellis si lascia andare a un “quanto ci mancano quei trailer che non svelavano il film da cima a fondo come fanno quelli odierni”. Considerazione estemporanea ma che racchiude tutta la sfiducia dell’autore nei confronti del pubblico; sfiducia giustificata, nell’epoca in cui, a furia di rivendicare trasparenza, ci siamo barricati dietro la pretesa di capire tutto e l’illusione di capirlo subito. Non andiamo a vedere un film se prima un trailer non ce lo spiega per filo e per segno, non compriamo un romanzo se non possiamo ridurlo a inequivocabile storia vera. A quel punto mancano ancora seicentonovantanove pagine alla fine de “Le schegge”, ma Ellis ha già spiegato – in tre righe che parlano d’altro, questo è talento – quali lettori resteranno spiazzati di fronte al suo memoriale inventato, alla sua storia dalla morale ambigua. Quelli che vanno a vedere un film solo dopo un trailer dettagliato, quelli che comprano un romanzo ma si accontenterebbero del riassunto.