«È finalmente nato il “Campo largo del populismo italiano”. Con il supporto di Elkann e il sostegno della Cgil. Sarà divertente. Per la destra», dice Carlo Calenda criticando il riflesso del ricorso a scioperi e manifestazioni che non portano, per lui, a nulla. Una posizione che lo allontana di nuovo dal Partito democratico (mentre nelle scorse settimane l’impressione era stata di una crescente sintonia) anche a causa della radicalizzazione di Elly Schlein, che è uguale e contraria a quella del governo a trazione Matteo Salvini più che Giorgia Meloni.
Perché il punto da cui partiremmo per un’analisi della situazione è proprio la linea dell’esecutivo, in tutti questi mesi ondeggiante tra doroteismo di serie B e ansia da prestazione. Ma da dopo l’estate il governo ha innestato una marcia diversa, più smaccatamente di destra, dal premierato alla precettazione, per meglio dire: un populismo di destra che in qualche modo tra le altre cose punta a raccogliere l’eredità (e i voti) del grillismo morente, e l’incrocio tra populismo grillino e autoritarismo meloniano sta proprio nella prospettazione dell’uomo forte.
Questa nuova torsione della destra ha causato nel gioco degli specchi della politica una parallela risposta della sinistra, con la riscoperta della piazza, lo sciopero, il rinsaldato asse Schlein-Conte-Landini sotto il segno moralisteggiante e “girotondino” dentro la classica narrazione del Bene contro il Male. È una nuova fase del bipopulismo italiano, disegnato più di prima lungo il crinale destra-sinistra e proprio per questo più “di movimento”: un terreno che la destra non ama ma che sta imponendo lei.
Forse Matteo Renzi captando questo cambio di fase sembra aver indurito la sua polemica contro il governo: «La prima pagella è arrivata: la Meloni è come quella studentessa che ci mette tanto impegno ma non raggiunge la sufficienza nemmeno copiando. Fratelli, sorelle, cognati d’Italia proprio non funzionano». Il punto però è sempre quello che Linkiesta ha posto migliaia di volte e che riproporrà al suo Festival del prossimo weekend a Milano, dove verranno intervistati proprio Renzi e Calenda: se il Paese è in balìa di un governo che esaspera le sue caratteristiche allo stesso tempo di inconsistenza e di arroganza, e di un’opposizione che strilla ma senza una convincente proposta alternativa, che cos’hanno in mente di fare coloro che sono fuori da questi due poli?
Possono continuare a criticare una volta il Partito democratico e un’altra Meloni, passando per Conte, i sindacati e Salvini e Antonio Tajani come se fossero dei politologi e non dei politici?
L’idea di fondo – che ci pare condivisa da Renzi e Calenda – è che i due poli siano condannati a deludere gli elettori proprio a causa del mix di inadeguatezza e populismo che li accomuna, e che questo debba naturalmente provocare un doppio movimento di voti verso il centro (se verso Azione o Italia Viva o Più Europa non è questo il tema): ma sembra invece più probabile – lo dicono i sondaggi ma anche la logica – che la radicalizzazione tra una destra-destra e una sinistra-sinistra esalti la competizione tra loro esattamente come un derby di calcio eccita le tifoserie, tarpando le ali a una posizione terza ed equidistante.
In definitiva, l’acuirsi dello scontro tra il governo salvinian-meloniano e la sinistra di Schlein alleata col populismo di Conte sta rafforzando il bipolarismo, sia pure nella sua versione più truce, come direbbe Giuliano Ferrara, e spinge quei cittadini che ancora si occupano di politica a schierarsi di qua o di là. E per chi voglia costruire un centro minimamente protagonista questo è un bel problema strutturale che nemmeno una competizione con la proporzionale come quella delle elezioni Europee potrà nascondere.