Non intendo recensire The Crown 6 ma solo esprimere di nuovo la mia ammirazione per Peter Morgan, il drammaturgo londinese (10/4/1963) che ha orchestrato le 6 stagioni. Come tutti gli Ariete nati il 10 aprile è una persona a cui piace fare cose coraggiose e audaci. Alle sue spalle aveva la scrittura di La regina (The Queen), un film del 2006 diretto da Stephen Frears, con Helen Mirren e Michael Sheen, ma una serie è un film lunghissimo che consente un lavoro immenso sui personaggi e sugli attori.
Figlio di rifugiati, il padre era un ebreo scampato a Hitler, Morgan è un blairiano ed è stato capace di costruire un racconto sulla regina Elisabetta a partire dal 1947 sino al 2005, passando per quel 31 agosto 1997 quando a Parigi si consuma la stagione di lady Diana. La sua tecnica mi pare sia questa: avendo dei puntini, punti fermi storici accertati, si tratta (alla Sherlock Holmes) di unire i puntini con la fantasia. Il vero, i fatti, vengono integrati con l’immaginazione.
Per es., lady Diana viene fotografata sullo yacht mentre bacia Dodi. Morgan immagina che questo fatto vero sia avvenuto con il fotoreporter Mario Brenna (vero) che su un gommone (cosa però non vera) si avvicina e scatta le foto. Oppure, Morgan dipinge Dodi come manovrato dal padre Al Fayed. Quanto c’è di vero o è solo probabile? E’ tutto un cocktail di vero e falso dove il sapore, buonissimo, non consente di distinguere più i singoli ingredienti. Avercene in Italia di Peter Morgan, a parte Bellocchio con il caso Moro.
Questa tecnica del “verosimile” di cui Morgan è un interprete a mio parere meraviglioso gli ha consentito di tratteggiare il regno di Elisabetta II mettendo a fuoco tutti i personaggi di una famiglia reale sulla quale pensavamo di sapere tutto. Morgan ci ha dimostrato che non sapevamo nulla, come non sappiamo nulla del vicino di casa che vediamo ogni giorno limitandoci ad un saluto. Per uno come me cresciuto, per ragioni anagrafiche, con le paginate che il settimanale Oggi faceva con i ritratti della Regina salita al trono suo malgrado il 6 febbraio 1952 (e nell’ultima stagione scopriamo anche chi scattava quelle foto), e che ha salutato la regina l’8 settembre 2022, dopo 70 anni di regno, il racconto di Morgan, oltre che piacevole, lineare e sontuoso (grazie a Netflix che ha investito tanto su questa produzione per lanciarsi nel mondo), è stato un susseguirsi di scoperte.
Una sorta di lente di ingrandimento sotto la quale tante figurine sono apparse in rilievo e perciò hanno acquisito consistenza, spessore, ruolo, mostrando tratti dell’anima. Il tema principale della serie, che nella sesta stagione è, in una sorta di sublimazione finale, più volte spiegato e illustrato, è il rapporto tra vita privata e vita pubblica della famiglia reale. Tutti i componenti della famiglia, nessuno escluso, come spiega Carlo (ora Carlo 3°) alla mamma in una delle prime puntate della 6^ stagione, vorrebbero optare tra privato e pubblico a loro piacimento e convenienza, ma non è possibile: il privato un reale se lo deve scordare, lo deve abbandonare come un vestito nel quale non entri più. Ogni medaglia ha il suo rovescio, non possono avere le gioie del privato, lontani da occhi indiscreti, insieme con gli onori e i privilegi del pubblico. Talvolta sarebbe bello essere invisibili e fare quello che noi sconosciuti facciamo durante le nostre vite anonime, altre volte è bellissimo ricevere applausi e riconoscimenti dai sudditi oltre che appannaggi e dimore e viaggi.
Morgan ha mostrato ognuno dei personaggi reali (attraverso la sua tecnica della fantasia che si muove dentro il recinto dei fatti veri) intento alla ricerca di un ruolo che lo sostenesse e lo facesse sentire importante. Ma nello stesso tempo ciascuno non vorrebbe rinunciare alle gioie che solo il privato con i suoi segreti e trasgressioni consente. Per esempio, Filippo cerca di fare del suo ruolo pubblico di “re consorte” qualcosa di più di quello che sta un passo indietro nell’incedere della regina, vorrebbe essere un consigliere ascoltato o un re delle cerimonie, ma talvolta non vorrebbe rinunciare alle sue scappatelle da donnaiolo. E così Margaret, la sorella accanita fumatrice con i suoi amori contrastati e turbolenti, sino a Carlo, Diana, Camilla, segretari, addetti stampa e domestiche fedeli e infedeli.
Certo, Morgan inventa ma rispetta le colonne d’Ercole dei fatti storici, come Pollicino ha delle molliche per terra che gli consentono di seguire il suo cammino senza smarrirsi, soprattutto ha la delicatezza e l’ambiguità del grande drammaturgo per giocare con tante metafore che la storia vera gli propone. Una nell’ultima stagione è evidente. Diana impegnata a bonificare la Bosnia dalle mine antiuomo non si accorge che sta per calpestarne una nella sua vita da neo divorziata. Ma c’è anche il battesimo di William che a sedici anni ammazza il suo primo cervo e viene segnato sul viso col sangue dell’innocente, e poi, appresa la morte della mamma innocente, si allontana per 14 ore in quella stessa foresta dove viveva il cervo.
Morgan ci informa e ci fa riflettere sul dramma di una giovane che per la morte prematura del padre, re Giorgio VI, ha dovuto indossare molto prima del previsto la fantomatica “corona” che dà il titolo alla serie. Ma di questo dramma ignoravamo gli aspetti pratici. Come quando la giovane regina si rende conto che non ha alle spalle la “scuola”, le nozioni fondamentali che una scuola normale fornisce ai suoi studenti. A lei hanno fatto studiare con un precettore una sola materia, “il ruolo del re nel Regno Unito”, e quindi le manca la cultura dei sudditi, la storia, la geografia, innanzitutto. Il tema principale di The Crown è l’immensa pressione esercitata sulla testa della Regina durante i suoi 70 anni di regno per mantenere la rilevanza e la popolarità della monarchia britannica in un mondo in continua evoluzione. E per garantirne la sopravvivenza. Ma questa pressione viene individuata da Morgan nel tema della “famiglia” e nel venir meno della “èlite”. Elisabetta diventa la mamma (tra l’altro molto distaccata e altera) dei sudditi britannici e quindi non ha più tempo per il marito e i propri figli. I tempi cambiano e anche i reali tentano di sottrarsi all’èlite alla quale appartenevano per vivere come i propri sudditi (Edoardo 8° quando divenne evidente che non poteva sposare Wallis e rimanere sul trono, abdicò, oppure il secondogenito di Carlo, Harrie, sposata l’attrice Meghan, è andato a vivere in America).
Peter Morgan, al quale è stato fornito un cast di primissimo ordine ( da Claire Foy a Olivia Colman, da John Lithgow e Helena Bonham Carter sino a Vanessa Kirby, Imelda Staunton e Elisabeth Lebicki), e una scenografia naturale che ha avuto bisogno di pochi ritocchi di computer graphica, ha potuto approfondire le pulsioni interiori di ogni personaggio senza far trasparire simpatie o idiosincrasie. E’ comunque evidente che nell’ultima stagione, con il nuovo re Carlo III, e la nuova regina Camilla ormai accettata dal popolo, la figura di Carlo venga trattata da Morgan con particolare tatto. Infatti Morgan si cimenta nell’impresa impossibile, ma realista, di voler far dimenticare uno che è stato capace la prima notte di nozze con Diana di passarla con Camilla, inaugurando il terribile triangolo. Lo tratteggia come politico moderno, padre affettuoso e rasserenato amico della moglie poco prima del suo incidente. Sul lato opposto l’ambizioso Al Fayed con la sua ossessione di usare il figlio dongiovanni, è considerato il cattivo, la causa dell’incidente, mentre Dodi e Diana vengono da Morgan accomunati attraverso la chiave di lettura della “figura paterna”. Il loro idillio il drammaturgo lo scioglie quando lei gli dice che non può sposarlo soltanto perchè così finalmente suo padre gli vorrà bene.
Sulla figura di Diana Spencer, Guia Soncini, per esempio, ha visto nella storia della principessa smaniosa che voleva ribellarsi al palazzo e finisce per morire giovanissima, molto kitsch (questo sostantivo di origine tedesca indica lo stile di oggetti presuntamente artistici, ma in realtà di cattivo gusto, in quanto troppo sentimentali e banali, oppure di basso valore culturale). Come quello del fantasma di Diana che nella quarta puntata di quest’ultima stagione compare a Carlo e a Elisabetta. “Se Dorfles me lo concede, vorrei al presente dire che non c’è epoca più kitsch di questo secolo, il cui mito fondativo è appunto Diana Spencer”. Ora, la trovata del fantasma è un vecchio espediente cinematografico per “mostrare” un dialogo interiore, per esempio nel film “A Beautiful mind” venne usato per mostrare la schizofrenia del matematico John Nash.
Da alcuni dettagli, tasselli, Morgan costruisce un discorso. Per esempio in una intervista William ha dichiarato che dopo la morte della madre non capiva il pianto di tanta gente per una persona che non conoscevano.
Allora Morgan cosa fa? Mette in bocca a William questa domanda (vera) ma gli fa rispondere dal nonno Filippo inventandosi la seguente risposta “Guarda che non piangono per lei che è morta ma per te che sei rimasto orfano”.
Il caso, l’accidente, la sorte, come ci ha illustrato in tutti i suoi film Woody Allen, governa le nostre vite anche nella visione di Morgan.
Si pensi per esempio all’attentato subito da Lord Louis Mountbatten, cugino in seconda della regina, che il 27 agosto 1979 rimase vittima di un’esplosione che coinvolse la sua imbarcazione durante la pesca delle aragoste. Lo zio Dickie Mountbatten non solo presentò Elisabetta a Filippo ma dopo che Filippo divenne adulto, divenne una guida anche per il Principe Carlo, che gli era molto affezionato.
A volte il destino ti porta via un punto di riferimento importante, talvolta il tizio con cui muori non è Romeo Montecchi, non è il grande amore della vita tragicamente breve di Diana. Nella vita lunghissima di Elisabetta e in quella finita nell’ estate dei propri trentasei anni ci sono destini che Morgan illustra legati per sempre, facendo prevalere la leggenda sulla realtà.