La favola dell’educazione sentimentale contro gli uomini che uccidono le donne

Questo articolo non serve a niente. Nessun articolo su un uomo che uccide una donna serve a niente, per una ragione così ovvia che mi pare l’interrogativo più interessante sia: chi ne scrive ha davvero rimosso dal proprio orizzonte il motivo per cui quello degli uomini che uccidono le donne è un fenomeno rispetto al quale non si può fare niente?

«Sono gelosissima delle relazioni tra lesbiche, perché sei una moglie, ma anche hai una moglie, il che è produttivo. Certo che voglio essere una moglie, ma io in cambio non avrei una moglie: avrei un marito. E che me ne faccio? A che serve un uomo in questa società quasi paritaria che abbiamo combattuto per ottenere? A proteggermi? Da chi, se è lui quello che più probabilmente mi ucciderà?». Lo dice Michelle Wolf, comica americana, in un monologo che Netflix ha distribuito nel 2023.

«Il coraggio che serve a una donna per dire di sì a un uomo che le chiede di uscire trascende ogni mia immaginazione. Una donna che sceglie di uscire con un uomo fa una cosa letteralmente folle e imprudente, e l’intera sopravvivenza della specie si fonda sul fatto che scelga di farla. Com’è possibile che le donne ancora decidano di uscire con gli uomini, considerato che siamo la maggior minaccia alla loro sopravvivenza?». Lo diceva Louis CK, comico americano, in un monologo del 2013: prima di tutto.

Prima che il MeToo abolisse le gerarchie delle fonti, facendo nascere un nuovo terziario avanzato, fatto di donne che non hanno intenzione d’affaticarsi con un lavoro vero quando possono fatturare facendo il femminismo su Instagram, femminismo-su-Instagram che consiste nel dire cose scevre del principio di realtà, tipo «siamo il Paese in cui si ammazzano più donne» (ne ammazzano di più, in proporzione, in nazioni che percepiamo assai più civili), tipo «non se ne parla abbastanza» (ogni volta che succede non si parla d’altro, com’è ovvio sia con gli eventi eccezionali e quindi impressionanti).

Prima, soprattutto, che la dissonanza cognitiva sostituisse il principio di realtà, e quindi valesse tutto, ma proprio tutto, perché dire qualcosa che stia dentro all’onda emotiva del giorno vale più che dire qualcosa di sensato (tacere non è un’opzione, tacere ti taglia fuori dall’economia dell’attenzione).

I giorni pari, che siamo una società sessista e si vede dal fatto che le femmine hanno risultati migliori dei maschi negli studi, ma poi nel mondo del lavoro fanno meno carriera; i giorni dispari, che gli uomini sono abituati a primeggiare negli studi e quindi ecco là che se ti stai per laureare prima di loro t’ammazzano.

Il guaio è che la verità è faticosa e complessa (aggettivo che in questo periodo non si porta granché), e prende pochissimi cuoricini social. Il guaio è che condividere il meme del momento è facilissimo.
Il guaio è che è un ottimo proposito insegnare che si può essere rifiutati e indesiderati – e non è un dramma e non vale un omicidio – ma è un’idea pedagogica che poco si concilia con un approccio educativo ormai interamente improntato al perché-tu-vali, al mondo che deve riconoscere le tue straordinarie qualità, al guai al professore che ti traumatizza coi brutti voti; e insomma, forse un po’ meno di schizofrenia non guasterebbe.

Il guaio è che Camille Paglia ci mette ottocento pagine di “Sexual personae” a spiegare quel che CK diceva in due minuti: che la natura è violenta, che la sopraffazione del maschio sulla femmina è un fenomeno naturale che la società argina, che il patriarcato è quel che ci salva dal fatto che ci ammazzino, mica ciò che incoraggia il maschio ad ammazzarci.

Il guaio è che ottocento pagine nessuno ha più la tenacia intellettuale, la concentrazione, la voglia di leggerle, già otto slide sono troppe, e in quelle otto slide nessuna scrive mai che non serve a niente l’educazione sentimentale a scuola, perché esiste la biologia che fa gli uomini più forti delle donne, ed è nella natura degli esseri viventi che il più forte prevarichi sul più debole: non riuscite a insegnare ai ciucci che partorite a fare le addizioni a tre cifre o a ricordare i confini dell’Umbria, ma pensate con due ore settimanali di estirpare il male dal mondo e la disposizione naturale a prevaricare da ogni creatura con gameti maschili? Auguri, e sperabilmente figli non maschi.

Il guaio è che «non so cosa dire, per fortuna succede sempre meno spesso, vorremmo che non capitasse mai ma il male esiste e le tragedie accadono e pensare di eliminarle del tutto è infantile» è una dichiarazione che nessuno fa perché sarebbe invero la meno cuoricinabile del mondo, specie nel secolo che non ha alcun interesse alle soluzioni dei problemi ma solo ai gesti simbolici.

Dire che il codice penale non serve – l’hanno scritto ex direttori di giornale, deputate del Pd, commentatori teoricamente qualificati: non Vongola75 – ma ci vogliono le ore di educazione sentimentale a scuola è come esporre le locandine con le facce degli ostaggi a diecimila chilometri da dove sono sequestrati: non c’è neppure una parvenza di praticità, ma solo la possenza del simbolismo (un po’ annacquata dal nostro essere circondati da milioni di simbolismi, ma non cavilliamo).

Postare «se domani non torno, sorella, distruggi tutto» non serve a far cambiare idea all’ex che sta per ammazzare la tua vicina di casa. Postare il riquadro nero in memoria di George Floyd non serviva a convincere i razzisti a smettere d’essere tali. Appendere le locandine con le facce degli israeliani a Londra o a Milano non serve a farli liberare a Gaza.

Ma capisco la frustrazione: cosa dici del fatto del giorno, se la tua carriera dipende dal consenso e dalla sintonia col pubblico, cioè se di mestiere sei una segretaria di partito o una che accende la telecamera del telefono? Mica puoi dire: non possiamo fare niente di concreto. Mica puoi dire: lo sappiamo che questa è una stronzata simbolica, ma soluzioni pratiche non ne abbiamo.

Persino il problema degli ostaggi a Gaza, rispetto a quello della violenza del più forte sulla più debole, è più facilmente risolvibile. È un problema che non ha a che fare con la natura: ci sono delle cose che puoi provare a fare. L’ex che ti ammazza no: è una sfiga. Solo che «oh, è stata sfigata» non è una lettura presentabile, specie se non sei un’intellettuale ma una che si candida a governare il Paese. Specie se la tua specializzazione non è l’analisi del reale ma la sintonia emotiva coi parenti delle vittime.

Quando chiesero a Bill Clinton perché si fosse scopato Monica Lewinsky, rispose: perché potevo. Tra i grandi rimossi di questo secolo bislacco c’è anche quello della maggior forza muscolare maschile, il cui riconoscimento osterebbe al feticismo della transessualità.

Se ci ricordassimo di questa disparità perlopiù non sanabile, capiremmo anche che la risposta di Clinton è quella che potrebbe dare ogni maschio che, con esiti più o meno letali, decida di sopraffare una femmina: l’ho fatto perché potevo. Non: perché il patriarcato mi dà il permesso. Perché la natura me ne dà il vantaggio (il patriarcato è quello che poi m’arresta, invece di mandarmi a rieducazione sentimentale). «Patriarcato» sta a questo secolo come «cinquant’anni di malgoverno democristiano» a quello scorso.

Le donne adulte, quelle normali, che hanno avuto relazioni da giovani, che non hanno particolari dolenze biografiche, sanno tutte d’essere vive per caso. Abbiamo tutte nel repertorio di aneddoti almeno un tizio (spesso più d’uno) che era cocainomane, o con un brutto carattere, o instabile in varie maniere. Perché non ha mai deciso di ammazzarci, o anche solo di riempirci di botte? Avrebbe potuto: siamo state fortunate.

Le pensatrici che ci meritiamo aborrono il concetto di «raptus», che hanno deciso essere una deresponsabilizzazione del maschio e una vittimizzazione secondaria (che vuol dire un’altra cosa, ma ora non è che possiamo pretendere che gente che di mestiere accende la telecamera del telefono conosca le parole che usa).

Perché, con lo stesso delirio di onnipotenza con cui s’illudono di poter sradicare il male dal mondo, credono di poter trovare motivazioni razionali a tutto, dai suicidi al tizio che, per laurearsi prima di te, ti ammazza e poi fugge verso una vita di latitanza senza titoli di studio.

C’entra la psicosi? C’entrano gli ormoni? C’entra la legge della foresta? Di sicuro c’entra la biologia, di sicuro c’entra quella verità che ormai sono disposti a dire solo i comici.

Dicono che l’uomo che uccide la donna è sistemico e patriarcale, ma non c’è nulla di meno sistemico di un tizio che in maniera del tutto irrazionale uccide una tizia colpevole di non volerlo più, e poi si dà alla fuga mentre il patriarcato si attrezza per metterlo in galera. Quel patriarcato vetusto e abominevole che si ostina ad attenersi al codice penale invece che all’educazione sentimentale.