Il mondo libero/La difesa delle società aperte, e la chiusura della mente occidentale

Ieri pomeriggio al Castello di Milano, l’associazione Ponte Atlantico, in collaborazione con Linkiesta, ha organizzato la manifestazione più adeguata ai tempi che stiamo vivendo: «In difesa delle democrazie» si leggeva nel manifesto di convocazione, «Con Israele, con l’Ucraina, con l’Iran libero».

L’imperialismo russo nei confronti del popolo ucraino ha una storia plurisecolare. Il conflitto arabo-israeliano intorno al moderno Stato ebraico è cominciato lo stesso giorno della nascita di Israele, 75 anni fa. La persecuzione delle donne iraniane risale al 1979, a 44 anni fa.

La resistenza dell’Ucraina, la società aperta israeliana e il movimento Donna, Vita, Libertà hanno storie, origini e protagonisti diversi, ma sono tre battaglie della stessa guerra scatenata dall’asse delle dittature contro il mondo libero.

Quello che stiamo vivendo oggi non è cominciato il 24 febbraio 2022 con l’invasione dell’Ucraina né con l’uccisione di Mahsa Amini il 16 settembre 2022 in Iran né il 7 ottobre 2023 con il pogrom di Hamas. Quello che stiamo vivendo è cominciato nel momento esatto in cui l’America ha smesso di fare l’America.

Siamo nell’agosto 2008, la presidenza Bush è agli sgoccioli e sfinita dalle guerre in Medioriente, e la Russia ne approfitta per invadere l’Ossetia, il Donbas della Georgia. Il candidato repubblicano John McCain si infervora, ma l’astro nascente Barack Obama fa capire che l’America non è interessata a occuparsi delle mire imperialiste della Russia, tanto che una volta eletto presidente smantella il progetto di scudo missilistico europeo in Polonia e Repubblica ceca pianificato da Bush in funzione anti iraniana e anti russa, e va alla ricerca di un reset delle relazioni con Mosca e con l’Iran. I russi capiscono quello che devono capire: l’America non ha più voglia di guidare il mondo libero.

Nel 2013, sei mesi dopo che Obama aveva ridicolizzato il suo secondo avversario repubblicano Mitt Romney come un relitto della Guerra Fredda perché aveva osato dire durante un dibattito presidenziale che la Russia era «senza dubbio il principale nemico strategico degli Stati Uniti», le vicende in Siria hanno definitivamente convinto Putin che era arrivato il suo momento. Di fronte all’uso di armi chimiche che hanno ucciso 1400 persone a nord di Damasco, Obama non fece niente per fermare il dittatore Bashar Assad sostenuto da Putin, nonostante avesse posto alla Siria egli stesso come limite invalicabile quello dell’uso di armi di distruzione di massa.

La Georgia e la Siria hanno convinto Putin, e non solo lui, che l’America aveva scelto di amministrare il suo declino anziché continuare a guidare il mondo democratico. Da lì a poco l’occupazione illegale della Crimea e del Donbas e la possente campagna di diffusione del caos in Occidente, con i finanziamenti ai partiti estremisti, i rapporti con i movimenti populisti, l’inquinamento dei processi democratici europei, il gran successo della Brexit e lo scacco matto a Washington con l’elezione a sorpresa di Donald Trump.

Obama non ha fatto niente per fermare il Cremlino e il risultato è stato Trump alla Casa Bianca. Trump ha facilitato il compito di Putin, disinteressandosi del tutto degli alleati europei, smantellando il geniale reticolato di istituzioni multilaterali con cui l’America ha governato il caos del mondo, e lasciando carta bianca a Benjamin Netanyahu che negli anni di Obama, vista la scelta americana di aprire all’Iran e di trattare Israele come un lontano parente fastidioso, aveva interpretato al peggio la radicalizzazione della politica israeliana.

Trump avrebbe sciolto la Nato, se avesse vinto le elezioni del 2020, ma le elezioni le ha vinte Joe Biden, il grandissimo Joe Biden, la cosa migliore che sia successa all’Europa dalla caduta del Muro di Berlino.

Biden ha rimesso in campo l’America, dopo aver gestito malissimo il lascito trumpiano dell’accordo con i talebani per il ritiro dall’Afghanistan. Biden ha salvato l’America, ha salvato l’Ucraina, ha salvato l’Europa e si appresta a salvare Israele dai suoi nemici e dalle sue comprensibili isterie che però spesso sfociano in radicalizzazione inaccettabile.

La sfida è ancora aperta, il fronte occidentale è pervaso da legittimi dubbi e pieno di osceni mestatori al suo interno, mente l’asse Russia-Iran-Hamas-Corea del Nord, con la supervisione della Cina, è compatto nel tentare di demolire il sistema di governo occidentale basato sulla libera circolazione delle idee, delle persone e delle merci.

L’attacco ad Israele del 7 ottobre è nato per distogliere l’attenzione occidentale dall’Ucraina e non è escluso che Mosca possa presto aprire altri fronti, magari nei Balcani e certamente al confine tra l’Armenia e l’Azerbaigian, per non parlare delle mosse antiebraiche dell’Iran attraverso gli Hezbollah in Libano. Il tutto sempre sotto l’occhio vigile della Cina alla ricerca del momento giusto per prendersi l’isola democratica di Taiwan.

Le società aperte occidentali non hanno ancora compreso la portata della minaccia esistenziale che corrono, anzi si mobilitano per soccorrere chi le vuole demolire, sono stanche di aiutare gli ucraini che resistono all’imperialismo russo anche per loro che al massimo sono stanchi dell’ultima serie Netflix, riempiono le piazze in solidarietà con i cacciatori di ebrei, rivalutano Bin Laden su TikTok, si disinteressano dei femminicidi di massa degli ayatollah iraniani, e guardano con ammirazione ai successi economici del regime dittatoriale cinese.

Questa attiva partecipazione degli «utili idioti dell’Occidente» al discorso pubblico dimostra perfettamente la chiusura della mente occidentale, ormai sopraffatta dal relativismo culturale e da un malinteso senso di uguaglianza, ma soprattutto è un’ulteriore conferma della superiorità civile della società aperta. Almeno finché durerà.