Gli effetti deleteri della giustizia del capriccio

Il popolo è sovrano, nel senso deteriore del termine. Leggendo “Tenebre italiane” di Marco Imarisio (Solferino), in cui il cronista del Corriere racconta sette casi di nera che ha seguito in prima linea, emerge chiaramente come la mediatizzazione delle indagini abbia sortito effetti deleteri: non solo la ricerca dello spettacolo da parte degli inquirenti, non solo la morbosità del teatrino attorno a ogni tragedia, ma soprattutto la sempre crescente pretesa dell’opinione pubblica di costituire un ulteriore grado di giudizio rispetto ai tre della magistratura. Il popolo esige di emanare sentenze di assoluzione o condanna per acclamazione, in base all’idea che si è fatta sentendo raccontare il caso. Il popolo non lo sa ma è lo stesso privilegio che accampavano i sovrani assoluti; un Luigi XIV, per esempio, poteva liberamente intervenire per rovesciare il più ponderato dei decreti giudiziari, magari solo perché un supplicante lo aveva convinto, o perché il condannato veniva da una città che aveva a cuore, oppure la vittima aveva una figlia carina. È la giustizia del capriccio, basata sull’emozione del momento; quell’arbitrio che le rivoluzioni hanno sottratto al monarca senza aspettarsi che, di lì a qualche secolo, avrebbe preteso di esercitarlo l’intero popolo. Che però ha troppe teste, quindi non si può decapitare mai.