Scuola/ L’Italia in cui non si accettano neppure le classifiche di qualità

La pratica di pubblicare informazioni sulla performance delle scuole è molto comune in alcuni paesi (Regno Unito, Stati Uniti, Cile, Nuova Zelanda). In Italia Eduscopio.it rappresenta invece una vera novità, anche se rimane da valutare l’effettivo impatto sulle scelte scolastiche delle famiglie. Dal dicembre 2014 le famiglie hanno a disposizione il portale Eduscopio.it, elaborato dalla Fondazione Giovanni Agnelli, che fornisce informazioni sull’efficacia delle scuole secondarie superiori.

L’attività delle scuole è giudicata sulla base degli esiti universitari successivi. In particolare, la classifica di qualità (ranking) dei vari istituti tiene conto sia della velocità con cui vengono sostenuti gli esami universitari che del profitto nello studio (voto medio) di tutti gli studenti iscritti al primo anno di università provenienti dalla stessa scuola superiore e appartenenti allo stesso indirizzo di studi. Il confronto avviene considerando scuole appartenenti allo stesso indirizzo e area geografica. In questo modo, si garantisce che la comparazione sia a parità di condizioni di contesto socio-economico.

Secondo Daniela Vuri (La voce info, 2018, Classifiche di qualità) ” a giocare un ruolo rilevante nella scelta scolastica potrebbero essere altri fattori, come la distanza da scuola, i tempi di percorrenza o le preferenze espresse dai compagni di classe.

Secondo Vuri Eduscopio.it viene utilizzato non tanto come strumento per selezionare le scuole migliori, quanto per evitare quelle posizionate nella parte bassa del ranking. Ciò a testimonianza del fatto che le famiglie non cercano necessariamente le scuole con risultati elevati, ma sono attente a evitare la mediocrità.

Le famiglie che hanno utilizzato Eduscopio.it sono probabilmente più attente alle scelte scolastiche dei figli e sono pertanto in grado di recuperare le informazioni rilevanti sulla qualità degli istituti tramite canali alternativi. In questo caso, Eduscopio.it avrebbe modificato solo parzialmente le preferenze delle famiglie.

È però vero che sarebbe importante promuovere la diffusione di Eduscopio.it presso tutte le famiglie, anche quelle che hanno minor dimestichezza con i mezzi informatici. A quel punto, sarebbe ragionevole aspettarsi un effetto maggiore”.

Invece secondo Giovanni Abbiati e Marco Romito (2018, Per sempre ultime: scuole condannate dalle classifiche) 

“…classificare gli istituti scolastici sulla base di un “indice di qualità” è un’operazione controversa, che parte da assunti impliciti sul funzionamento del sistema scolastico che sono da valutare con attenzione.

Circa i problemi metodologici la critica più comunemente mossa a Eduscopio è che confonde la “qualità dell’offerta formativa” con l’origine sociale degli studenti che la frequentano, con il rischio di contribuire ad amplificare le disuguaglianze scolastiche già particolarmente elevate nel nostro paese.

In primo luogo, la pubblicazione di classifiche delle scuole non avvantaggia tutte le famiglie in egual modo. Quelle provenienti dai ceti sociali più elevati si appropriano in misura maggiore delle altre dei vantaggi connessi all’informazione.

Il secondo punto è relativo alle conseguenze sistemiche della produzione e diffusione di classifiche delle istituzioni educative. Come già rilevato in altri contesti, la diffusione di classifiche tende a far incrementare le iscrizioni presso le scuole “migliori”. Secondo alcuni si tratterebbe di un risultato auspicabile, poiché incentiverebbe gli istituti che ricoprono le posizioni più basse a migliorare i propri risultati. Tuttavia, il ragionamento omette un fatto piuttosto rilevante. Il meccanismo competitivo è viziato dalle differenti posizioni di partenza, che sono fortemente legate alla composizione sociale degli studenti. Si è osservato come “l’effetto classifica” contribuisca a rafforzare le posizioni delle istituzioni educative prime in classifica e a indebolire quelle più in difficoltà (allontanando gli studenti con maggiore potenziale), innescando un continuo miglioramento delle posizioni delle prime a scapito delle seconde.

Pertanto, vi è un’unica certezza: che nella “competizione scolastica” ci sono alcuni istituti che non vinceranno mai.

In altri termini, la scuola non funziona come un mercato e la diffusione di strumenti che accrescono la competizione tra istituti e tra famiglie non fa altro che rafforzare la segregazione scolastica. Non essendo attività commerciali, le scuole non possono essere semplicemente chiuse ed è molto probabile che si avvitino in una spirale negativa che contribuirà ad accrescere irrimediabilmente la distanza tra scuole di élite e scuole-ghetto. Ma considerando la carenza di risorse con cui si confronta quotidianamente il sistema scolastico del nostro paese, e che rende difficoltosa persino l’ordinaria amministrazione, risulta particolarmente difficile immaginare spazi di intervento pubblico capaci di controbilanciare gli effetti perversi di una competizione scolastica sostenuta e rafforzata dalla produzione e diffusione dei ranking”.

Una sola osservazione finale mi sento di fare: queste considerazioni, le quali sono di per sè ragionevoli, non rientrano forse nell’altra faccia della medaglia che ogni “soluzione” politica o tecnica presenta, posto che la perfezione non è di questo mondo? Ogni medicina ha le sue controindicazioni, che facciamo, non usiamo più medicine? 

E poi non assomigliano molto ad una domanda che nella nostra vita abbiamo ascoltato molte volte, per esempio tutte le volte in cui si è proposta la digitalizzazione: come faranno i nostri vecchi e le fasce di popolazione non scolarizzate?