Il racconto di Occhiuto e le frasi di circostanza

La politica, anche quella calabrese, procede con frasi di circostanza buone per tutte le occasioni. Occhiuto traccia il bilancio del 2023: «Ora c’è un nuovo racconto della Calabria». Il termine racconto ormai è diventato un obiettivo politico: vogliamo migliorare il pil e anche il racconto.
(Il presidente della Regione: «Mai stati così accreditati a livello nazionale e mediatico»). Non importa quello che sei, basta che gli altri parlino bene di te. La Calabria, secondo tutti i politici di qualsiasi colore, deve essere raccontata bene, raccontata meglio, all’uopo si usano gli spot, il palazzo del ghiaccio a Milano, la cartellonistica nelle stazioni, cose così, un enorme sperpero di denari.

Alle campane del governo rispondono altre campane dall’opposizione:
 «Dietro lo storytelling c’è poca sostanza. Occhiuto vive in una realtà parallela». Come si vede, non si respinge il racconto, lo si vorrebbe di maggiore sostanza. 

Ma vediamo il racconto applicato ad un crisi vera, questa:
«La crisi occupazionale all’Abramo Customer Care è un vero e proprio tsunami». Questa azienda, già adesso in amministrazione controllata, riceve da Tim la comunicazione che verrà dimezzata la mole contrattuale. Si tratta di 493 persone prevalentemente sugli insediamenti di Montalto e Settingiano (incluse poche unità su Crotone) che dal primo gennaio si troveranno in cassa integrazione a zero ore: è quasi il 50% dell’intera forza lavoro dell’azienda, che adesso si trova in un limbo dal quale sarà difficilissimo uscire.

Ecco allora un esempio di re-azioni con frasi di corcostanza.
Il consigliere regionale del Pd Alecci: occorrono soluzioni immediate, basta con le inutili passerelle di ministri. Vertenza Abramo Customer Care, Fiorita ai sindacati: «Scongiurare la cassa integrazione». L’incontro tra il sindaco e i rappresentanti sindacali: «Profondamente preoccupato, sono vicino ai lavoratori».

I FATTI La bolla dei call center, spiega la C news, è scoppiata, Abramo è solo l’ultima goccia di una crisi occupazionale che rischia di travolgere la Calabria
Solo qualche anno fa, la Calabria era considerata l’Eldorado dei call center. Quella dell’assistenza telefonica e dei servizi in vendita era una vera e propria manna dal cielo per un territorio da sempre alle prese con un’atavica fame di lavoro.

Sono passati quasi venti anni dai primi insediamenti, nei corridoi e sulle scrivanie dei call center sono nati amori e famiglie (che molto spesso dipendono quindi da una sola fonte di reddito) ma adesso quella bolla sta letteralmente esplodendo lasciando a terra tantissime persone: «È una conseguenza di quanto sta succedendo sul mercato – spiega Alberto Ligato, segretario generale della Slc Cgil – perché se ci facciamo caso quello della telefonia è l’unico comparto in cui nonostante l’inflazione i prezzi al cliente non aumentano ma diminuiscono. Basti pensare alle offerte telefoniche, adesso con pochi euro si ha tutto praticamente illimitato e in pochi click: vuol dire che le aziende hanno meno introiti ma gli stessi costi. Dove si taglia, poi, quindi? Sui lavoratori, che vengono lasciati a casa dalla mattina alla sera. Pensate al caso Abramo, 500 persone che in venti giorni dovrebbero essere ricollocate in una regione come la Calabria, ma come si fa? »

Cosa si può fare per i lavoratori che perdono il lavoro? Le parole della politica calabrese, le frasi fatte o di circostanza servono, sono utili? No, sono rumore, tutti sanno che la patata è di competenza del ministero, dove era già previsto un incontro per la vertenza Almaviva. Ecco, servono i ministri.

Proprio oggi Ernesto Galli della Loggia ricordava sul Corriere  che in generale per i ministri italiani governare non sia sinonimo di un agire concreto e in profondità, dell’introduzione di novità incisive, ma voglia dire un’altra cosa: essenzialmente spendere dei soldi e fare delle nomine. Cioè le due sole cose che ai loro occhi portano voti e quindi una maggiore probabilità di essere rieletti e restare in carriera.

Per il resto ci si limita a «mettere delle pezze», come si dice: a prendere provvedimenti di facciata, a immaginare ritocchi destinati di solito all’insignificanza, a ordinare ispezioni, a fare annunci e a dare interviste. Si direbbe il destino della Seconda repubblica: la via italiana all’immobilismo.

I nostri politici non sono in grado di migliorare l’economia, di aumentare la ricchezza, di diminuire il debito e aumentare la produttività. La maggior parte delle questioni che si trovano ad affrontare, dall’ambiente ai migranti all’inflazione, presuppongono una collaborazione internazionale. Però ci sono questioni interne, dalla scuola alla giustizia, che possono essere affrontate direttamente senza doversi confrontare con altri paesi.

Gli economisti Boeri e Perotti parlano oggi di un problema che ci angustia da svariati anni, gli scioperi nel trasporto pubblico e tutti gli scioperi politici. Occorrerebbe, essi dicono, individuare modi migliori di quelli trovati sin qui per conciliare il diritto di sciopero dei lavoratori con il diritto dei cittadini di viaggiare. Bisognerebbe, come in altri Paesi, imporre quorum minimi di adesione tra i lavoratori per poter dichiarare uno sciopero. Con gli strumenti attuali di comunicazione non è difficile organizzare referendum fra i lavoratori. Imporre che uno sciopero possa essere dichiarato solo se almeno un terzo dei lavoratori è d’accordo servirebbe anche a impedire la polverizzazione degli scioperi: le diverse sigle dovrebbero mettersi d’accordo anziché competere tra di loro.

È un problema che i sindacati si devono porre; altrimenti – come il ministro Salvini ha ben capito – il ricorso alla precettazione sarà sempre più popolare. Ma la precettazione equivale a negare il diritto di sciopero. Non può certo essere la norma. Ecco allora un esempio di cosa la politica può fare in concreto. Tutto il resto sono parole di circostanza.

Roberto Perotti, Tito Boeri
Ernesto Galli della Loggia