Mes/Fubini spiega perchè Meloni e Conte sono ***

Ora che stiamo andando verso le festività — e dopo il no della Camera alla ratifica della riforma del Mes -, immaginiamo due scenari diversi per la parte finale del 2024.

Il primo scenario: una crisi del debito
Scenario uno: in «Eurolandia» — nome di fantasia di un ipotetico Paese dell’area dell’euro — scoppia una crisi del debito. Il governo di Eurolandia non riesce più a collocare sul mercato i suoi titoli sovrani e presenta richiesta di aiuto al Meccanismo europea di stabilità.

I ministri dei Paesi dell’euro, incluso il rappresentante italiano, si riuniscono in un weekend e decidono rapidamente di prestare un’importante somma al governo di Eurolandia. Gli interessi sono molto più bassi di quelli che pagherebbero anche Paesi ben più solidi e le scadenze del prestito sono lunghe. In cambio, Eurolandia si impegna a un ciclo di riforme e interventi che somigliano molto a quelli già previsti dal Patto di stabilità concordato proprio ieri e dai Piani nazionali di investimenti e riforme.

L’Italia, nel consiglio del Mes, vota a favore del prestito di salvataggio. È una scelta generosa e anche interessata: teme che lasciar correre la crisi sovrana del governo di Eurolandia porti un contagio finanziario che finirebbe per insidiare anche la stabilità del vasto debito pubblico di Roma.

Può succedere, questo salvataggio potrebbe farsi veramente? In linea di principio, sì. Il Mes esiste già, i meccanismi per prestiti di aiuto o di salvataggio sono già concordati, l’Italia ha già versato la sua quota di capitale nel Meccanismo e questo può già aiutare a stabilizzare una crisi sovrana (anche) di altri Paesi prima che essa arrivi a noi.

Questa possibilità di utilizzo del Mes esiste da anni e protegge anche l’Italia: senza prestiti del Meccanismo al Portogallo o all’Irlanda quei Paesi avrebbero fatto default durante la crisi del 2010-2012 e l’ondata di choc sarebbe arrivata anche in Italia in forma ancora più forte di come avvenne.

Il secondo scenario: una crisi bancaria
Ora vediamo lo scenario due per il 2024: sempre nell’ipotetico Paese di Eurolandia, deflagra una crisi bancaria. Va in dissesto la terza banca del Paese, ma il governo esita a intervenire perché non ha le risorse per salvare un istituto le cui passività in bilancio sono pari al 40% del prodotto interno lordo.

L’incertezza perdurante crea prima sfiducia, quindi vero e proprio panico fra i risparmiatori. Si formano file agli sportelli della terza banca di Eurolandia, ma il solo vederle spinge i risparmiatori delle altre banche a correre anch’essi a ritirare i propri risparmi. Ora le prime dieci banche di Eurolandia hanno bisogno di essere salvate, ma di fatto alcune di loro sono già da liquidare («risolvere», nel gergo europeo) perché ormai incapaci di sostenere le proprie passività. Si crea uno scenario simile a quello innescato negli Stati Uniti dal fallimento della Silicon Valley Bank nel marzo del 2023.

Il contagio arriva ben presto al Paese confinante di Eurolandia e anche lì varie banche si rivelano ben presto insostenibili. Per la loro liquidazione il più ordinata possibile – in modo da riportare la calma per tutti – si ricorre alle risorse del Fondo unico di risoluzione europeo, accumulate grazie ai contributi privati dell’intero sistema bancario dell’area in questi anni. Ma liquidare ordinatamente le banche gestendo i creditori può essere molto costoso. Servono molte, molte decine di miliardi e quei contributi del Fondo unico di risoluzione non bastano. Ben presto ci si accorge che servono più risorse per evitare una serie di default disordinati sul modello Lehman Brothers.

A quel punto un burocrate di Bruxelles suggerisce: «Usiamo le risorse del Mes. Nella riforma è previsto che queste si possano prestare al Fondo unico di risoluzione bancaria, in caso di necessità».

Il Consiglio del Mes si riunisce, ma ha le mani legate. Il regolamento del Mes proibisce di usare le sue decine di miliardi per stabilizzare il sistema bancario europeo, perché la riforma a questo scopo non è mai passata. La sta bloccando un solo Paese: lo stesso che grazie, alla zona euro e alla Banca centrale europea, beneficia della maggiore riduzione in interessi del costo del proprio debito; lo stesso del quale la Bce ha comprato titoli di Stato per oltre 700 miliardi di euro in pochi anni; lo stesso Paese che riceve da Bruxelles le somme più alte, quasi 200 miliardi di euro, per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Ora anche quel Paese è minacciato dalla crisi bancaria partita altrove ma, a causa del suo grande debito, non ha i mezzi per stabilizzarla da solo. Tutti i ministri europei, al tavolo del Mes, si voltano verso il collega di quel Paese che beneficia più di tutti del supporto e dell’aiuto dell’Europa, ma blocca più di tutti. Il ministro dell’Italia si sente improvvisamente osservato.

Ma questo sul 2024, naturalmente, è solo uno scenario di fantasia.