Come nacque “Io che non vivo”

Io che non vivo più di un’ora senza te
Come posso stare una vita senza te
Sei mia, sei mia, mai niente lo sai
Separarci un giorno potrà

(Gian Luigi Paracchini,“Corriere della Sera”) Che cosa s’ intende comunemente per canzone della vita? Quella che ha funzionato, e resta nel nostro ricordo, come colonna sonora di un momento, un incontro, un’ emozione indimenticabili. Oppure, dal punto di vista di chi scrive musica, qualcosa di così potente da stravolgere una carriera.

Prendiamo per esempio Pino Donaggio, musicista, cantante, veneziano doc: nel 1965 (aveva 23 anni) arriva al festival di Sanremo con Io che non vivo (senza te) , canzone (musica sua, parole di Vito Pallavicini) che pur piazzandosi soltanto settima piace subito a tutti.

Seguiranno squillanti soddisfazioni pecuniarie (80 milioni di dischi venduti), multiversioni linguistiche, anche in coreano, e insieme una popolarità che contribuirà ad aprirgli la strada per una seconda e più prolifica vita musicale: compositore di colonne sonore (quasi 230) per cinema e tv.
Ecco perché anche oggi, nel suo studio veneziano (un misto fra sala registrazione e varia memorabilia) con vista sul Canal Grande, non mancano tracce della canzone e del Festival 1965. «A Sanremo avevo esordito molto bene nel ’61 con Come sinfonia, nel ’63 sono arrivato terzo con Giovane giovane , ma con Io che non vivo è stata tutta un’ altra musica.

Un po’ per l’ immediato impatto sul pubblico ma soprattutto perché se n’ era innamorata Dusty Springfield che poi l’ ha incisa con il titolo You don’ t have to say you love me. Prima lei, poi Elvis Presley hanno trasformato quel pezzo in un successo mondiale. Buffa la vita: avevo cominciato a fare il cantante imitando Elvis e ho avuto la soddisfazione di vedere a Graceland, la sua casa-museo, il disco d’ oro guadagnato con la mia canzone!».

Donaggio presentò la sua canzone al Festival di Sanremo 1965, in gara insieme alla cantante folk statunitense Jody Miller.

Alla manifestazione canora aveva partecipato anche la britannica Dusty Springfield, fresca di espulsione dal Sudafrica per aver tenuto un concerto con una platea mista di bianchi e neri, che si trovava in mezzo al pubblico quando il cantante veneziano e Jody Miller eseguirono il brano. Nonostante non avesse idea di cosa dicessero le parole, Springfield ne rimase profondamente colpita. La donna si procurò allora una registrazione della canzone di Donaggio e lasciò trascorrere un anno prima di perseguire attivamente l’idea di registrare una sua versione in inglese.

Il 9 marzo 1966, Springfield aveva una traccia strumentale della composizione di Donaggio registrata negli studi della Philips di Marble Arch a Londra. Fra i musicisti che avevano partecipato alla sessione di registrazione c’erano il chitarrista Big Jim Sullivan e il batterista Bobby Graham.

Ora a Springfield mancava solo un testo in inglese per poter registrare il suo brano: fu la sua collaboratrice Vicki Wickham a scrivere il testo inglese, con il suo amico Simon Napier-Bell, che era il manager degli Yardbirds. Così nacque You Don’t Have to Say You Love Me che, oltre a Springfield, anche la stessa Miller portò al successo.

Nel 1966 You Don’t Have To Say You Love Me centrò il primo posto della hit-parade inglese. Ma la storia non finì lì perché, oltre alle immediate (e gratificate dal successo) versioni in spagnolo, in portoghese, in francese, in tedesco, in croato, in danese e in finlandese la canzone piacque molto anche a Elvis Presley, che la registrò nel 1970 facendola poi diventare parte integrante dei suoi spettacoli dal vivo. Entrò subito anche nel repertorio discografico delle grandi orchestre, come quelle di Frank Pourcel, di Paul Mauriat e di Raymond Lefèvre e nel corso degli anni, fino ai giorni nostri, ha collezionato un numero impressionate di versioni in tutti i paesi del mondo.

IL POST Clamorosamente pomposa e melodrammatica, ma senza svaccare mai, e con uno dei refrain più trascinanti del tempo (assieme a quello di “Delilah” di Tom Jones) divenne un successone planetario (fu usata anche nel film “Vaghe stelle dell’Orsa” di Luchino Visconti), e dopo la cantarono in tantissimi.