Riformisti o manettari/ La legge bavaglio è il confine

La Fnsi, il sindacato unico dei giornalisti (rarissimo caso di sindacato unico in un Paese democratico), ha tenuto ieri una piccola dimostrazione di protesta contro la norma approvata dal Parlamento ideata da Enrico Costa (Azione) subito ribattezzata «legge bavaglio» contro la quale ha votato l’opposizione tranne Azione e Italia viva. Il sindacato dei giornalisti, che per diritto divino è sempre guidato da un ex segretario dell’Usigrai – non esattamente un’accademia di cultura liberale – ha proposto di boicottare la conferenza stampa di inizio anno di Giorgia Meloni, mettendosi il bavaglio da sé: non c’è che dire, un’abile contromossa. La norma che imbavaglierebbe i giornalisti in realtà non li imbavaglia affatto, ma evita a chi viene sottoposto a misure cautelari di essere sputtananato su questioni che non hanno nulla a che vedere con il merito dell’ordinanza (di cui nulla vieta la notiziabilità).

Tra le tante spiegazioni, una volta tanto citiamo Piero Sansonetti: «A nessuno sarà impedito di sapere niente. Nulla cambierà nei processi. Nessuna prova a carico, o indizio a carico, sarà minimamente scalfito o storpiato o silenziato da questo nuovo regime. Nulla cambierà nel funzionamento del processo. Succederà semplicemente che alcuni aspetti delle indagini che generalmente rimangono segreti – e a disposizione solo della polizia giudiziaria che indaga e del Pm – per diversi mesi, a volte per più di un anno, resteranno non segreti ma semplicemente non pubblicabili ancora per qualche settimana o – in caso di lentezza della giustizia – per qualche mese fino alla conclusione delle indagini preliminari».

Si può certamente dissentire, ma è difficile paragonare questa norma al Cile di Pinochet. Lo ha spiegato sul Manifesto un giurista che pure non condivide la norma, Giovanni Zaccardo: «Esagera chi pensa sia stato messo un bavaglio alla stampa: la notizia di un arresto potrà essere sempre data e potranno esserne anche indicati, riassuntivamente, i motivi. Un divieto assoluto sarebbe illiberale e forse incostituzionale. La norma è stata presentata con lo scopo di prevenire la gogna mediatico-giudiziaria, ma in realtà serve a poco e anzi può essere dannosa proprio per i cittadini indagati o imputati. Infatti, le notizie degli arresti circoleranno comunque, ma senza il supporto delle motivazioni che li giustificano».

Ma non è della Fnsi, che è ormai un gruppo politico più che un sindacato, che qui interessa discutere, quanto dell’appoggio dato dal Partito democratico a questa battaglia ideologica. Il caso ha voluto che ciò avvenisse nel giorno in cui la Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione sollevato dal Senato contro la procura e i giudici di Torino che intercettarono per ben cinquecento volte il senatore democratico Stefano Esposito, senza mai chiedere l’autorizzazione del Parlamento, in violazione della Costituzione. L’ormai ex senatore del Pd ha dunque vinto la sua battaglia e dice a Linkiesta: «Mi hanno distrutto la vita violando leggi, Costituzione e tutto il possibile. Pagherà qualcuno? No, non pagherà nessuno, in Italia pagano solo gli onesti». Amaro, ma inconfutabile.

E dov’è il Pd sul caso di Esposito?

Ebbene, davvero non si capisce come un partito guidato da una donna libertaria, giovane, non legata alla storica subalternità della sinistra alla magistratura, possa aver lasciato Esposito da solo ed essere solidale con la protesta corporativa del sindacato unico dei giornalisti: corporativa sì, perché rende impossibile il vecchio caro copia e incolla delle carte gentilmente offerte loro dalle Procure.

La norma scritta da Costa serve a proteggere gli imputati, innocenti fino a sentenza definitiva, dal guardonismo giornalistico peraltro del tutto estraneo all’interesse pubblico. È una norma di civiltà. Moderna. Siccome si dice che Elly Schlein abbia intenzione di aprire canali nuovi e diretti con pezzi di società non tradizionalmente della sinistra pura, quella appunto storicamente meno sensibile ai diritti degli imputati e più eccitata dal fruscio delle toghe dei pm, sarebbe opportuno fare il punto anche sul tasso di garantismo nelle vene di un partito che evidentemente fa ancora molta fatica a dismettere il fardello di una cultura antiliberale e giustizialista, magari per ingraziarsi ancora l’avvocato del popolo, l’ultimo della dinastia dei manettari a cinque stelle che ancora imperversa per le contrade della politica italiana.