(Antonio Fraschilla, Repubblica) A proposito di balneari. Quello che ormai sta premendo sul governo Meloni perché cambi la legge sulla concessione delle spiagge è ormai un «coro» istituzionale a cui partecipano l’Unione Europea, la magistratura e il Quirinale. Coro a cui però fino a oggi il centrodestra ha fatto orecchie da mercante ostinandosi a prolungare la «privatizzazione» dei litorali fino alla fine del 2024. La norma era contenuta nel decreto Milleproroghe entrato in vigore il 23 febbraio scorso.
Nel corso dell’ultimo Consiglio dei Ministri Meloni ha proposto di prorogare di altri 6 mesi la messa a gara delle concessioni balneari. Il cavillo giuridico riguarda una postilla contenuta nella direttiva in base alla quale le concessioni vanno messe a gara considerando la disponibilità della risorsa. Allo scopo il Governo è riuscito a prendere tempo istituendo una commissione presso il Mit con lo scopo di monitorare tutta la costa italiana per capire quanta spiaggia fosse libera. Nel Consiglio dei Ministri Salvini ha detto che i lavori non sono stati completati e che ci vorranno altri sei mesi per fare le gare. Dopo le Europee quindi.
Si sono inventati di tutto pur di cambiare la geografia del nostro Paese e dimostrare all’Europa che le spiagge in mano ai privati sono poche rispetto a quel che la natura ha donato all’Italia. Secondo il documento consegnato dal governo Meloni alla Commissione europea, dopo quasi nove mesi di lavoro di un folto tavolo interministeriale insediatosi a Palazzo Chigi, le spiagge libere sono ancora il 67 per cento e quindi non c’è bisogno di rispettare la direttiva Bolkestein che impone bandi pubblici per le concessioni.
Ma come si è arrivati a questa cifra? A esempio si scopre che il calcolo delle spiagge non occupate da privati è stato fatto non in chilometri lineari, ma in chilometri quadrati. E qui sta il vero primo trucco: parlando di chilometri quadrati, rispetto a quelli lineari, si diluisce notevolmente la presenza di concessioni private. Ma tant’è, secondo questo calcolo oggi in Italia ci sono 381 mila chilometri di aree demaniali marittime.
Poi nel computo sono stati inseriti tratti “inaccessibili” per stessa ammissione del tavolo, ma che potrebbero diventarci non si capisce come. E ancora, veniamo a sapere che ci sono tante aree libere sugli scogli perché in Italia si usano molto i solarium: e nel documento inviato all’Ue vengono allegate foto che ritraggono solarium su rocce. Come dire: “Noi sappiamo sfruttare gli scogli”.
Ma c’è di più: la percentuale di costa libera viene calcolata dal governo tenendo comunque dentro nel numero totale posto alla base del calcolo anche “porti commerciali, aree industriali, aree marine protette e aviosuperfici”. Un paradosso.
Nel documento si fa una premessa che già è singolare. E cioè che non si hanno dati certi sui chilometri lineari di costa, che secondo il Portale del mare sarebbero comunque 11 mila (3 mila in più, secondo gli ambientalisti, di quelli davvero fruibili per fare un bagno)
Quelle occupate, secondo il documento di Palazzo Chigi, sarebbero “solo” 127 mila chilometri, appena il 33 per cento del totale. L’Italia insomma è un paradiso naturalistico ovunque. Letti questi numeri, e come sono stati elaborati, da Bruxelles hanno risposto in maniera quasi piccata: “In primo luogo, tale percentuale del 33 per cento è calcolata rispetto al totale dell’area demaniale, solo “al netto di aree militari e secretate”. Pertanto, il calcolo di tale percentuale non sembra assumere come base di riferimento le aree demaniali effettivamente ed attualmente “disponibili” in capo ai comuni per i servizi di ‘concessione balneare”.
Meloni tutela i privilegi di chi come la ministra Daniela Santanchè e Flavio Briatore hanno in concessione dallo Stato il Twiga per 20 mila euro all’anno ma fatturano 10 milioni di euro. È lo scandalo di un settore che fattura 10 miliardi di euro all’anno ma versa allo Stato per le concessioni demaniali solo 110 milioni”.
(Claudio del Frate, Corriere) Nel 2006 Bruxelles vara la cosiddetta «direttiva Bolkenstein» che impone la liberalizzazione di tutti i servizi sul mercato interno europeo: trasporti, acquedotti, concessioni devono essere messi «a gara». Nel novero entrano anche le concessioni balneari, che in Italia erano una sorta di «diritto ereditario» da decenni con le concessione che venivano rinnovate automaticamente ogni sei anni. Dal 2006 a oggi, incredibilmente, l’Italia ignora la Bolkenstein per quanto riguarda i suoi beni demaniali marittimi.
La sentenza «spartiacque» – La sentenza numero 18 emessa il 9 novembre del 2021 del Consiglio di Stato è uno «spartiacque» (è il caso di dire) definitivo: essa stabilisce che il regime di proroghe automatiche per le spiagge é illegittimo proprio perché cozza contro la normativa europea sulla libera concorrenza (Bruxelles nel frattempo ha minacciato mdi aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia). Il governo Draghi prova a metterci una pezza impegnando a bandire le gare nel 2023 (la legge sulla concorrenza è anche uno dei «paletti» imposti dal Pnrr).
Quanto vale la partita dei balneari? – Secondo quanto calcolato dal sito Truenumbers su dati del Mef, in Italia le concessioni demaniali marittime sono 29.689 e gli stabilimenti balneari 6.823. Significa che ogni impresa è titolare di più concessioni. Nel 2022 l’intero settore ha fatturato 31,9 miliardi. A fronte di tutto ciò il gettito incassato dallo Stato grazie all’«affitto» delle spiagge è stato di appena 115 milioni di euro. Per avere un termine di paragone, il comune di Milano, dall’affitto dei negozi di cui è proprietario in galleria Vittorio Emanuele incassa ogni anno 60 milioni.
Pier Paolo Cambareri La C news
La Calabria detiene un piccolo record che forse non tutti conoscono. Stiamo parlando delle concessioni balneari che nella nostra regione sono 1.488. Si dirà che è un numero giustificato dal fatto che siamo lambiti dal mare per un totale di oltre 788 km di coste. Ma questo è vero solo in parte se consideriamo che, in base ai dati forniti dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, regioni come la Sardegna a esempio (1849 km di coste) ha 674 concessioni per stabilimenti balneari, la Sicilia 680, regioni turisticamente all’avanguardia come la Puglia 968. Forse dalle nostre parti ai Comuni è scappata un po’ la mano nel rilasciare queste concessioni ma i numeri indicano quanto sia importante per la Calabria il dibattito che si è acceso intorno alla famosa direttiva europea Bolkenstein. Questa impone agli stati membri dell’Ue di mettere a gara le concessioni, nel rispetto dei principi di trasparenza e concorrenza.