La scomparsa degli intellettuali/ Manuale per riconoscere le frasi fatte

«Vorrei fare la proposta di liberarci dell’espressione “dichiaratamente gay”. È un’espressione che esiste solo nei mezzi di comunicazione, non è che sei a una cena e qualcuno ti presenta “il mio amico dichiaratamente gay”. E perché mettiamo “dichiaratamente” solo di fronte a “gay”? Mica diciamo che qualcuno è dichiaratamente irlandese, dichiaratamente mancino. È come se ti stessero dando dello svergognato: lo sei dichiaratamente?!».

(Del fatto che ormai i titolisti parlino in doppiaggese, e quindi dicano «apertamente» giacché negli sceneggiati americani hanno sentito dire «openly gay», e non si prendano il disturbo di adattare alla lingua in cui scrivono, di questo disastro parliamo un’altra volta).

Non è per dire «ma non ti vergogni», che i titolisti aggiungono «dichiaratamente» o «apertamente». Semmai il contrario: serve a specificare «non lo dico per sputtanarlo, lui è d’accordo che si dica». È un cascame di quando dire di qualcuno che era gay significava qualcosa: un friccico, una minoranza, un controcorrentismo. Se i giornali nel 2024 parlassero del mondo com’è e non come se lo ricordano, titolerebbero «Tizio è dichiaratamente uno come tutti».

Il problema delle frasi fatte non sono le frasi fatte: è la scomparsa degli intellettuali, ovvero della categoria preposta a riconoscerle come tali. Non necessariamente a non usarle, ma a usarle consapevolmente, con un registro ironico, in modo postmoderno, e tutte quelle ovvietà che vi ha spiegato un secolo fa Umberto Eco.

(…) v’inviterei a considerare la scomparsa della capacità di riconoscere una frase fatta, e quindi anche una sua parodia, dalle reazioni alla conferenza stampa di Giorgia Meloni. Che, quando le hanno chiesto tre obiettivi per il 2024, ha risposto «Abolire la povertà, pace nel mondo, ristrutturazione gratuita delle abitazioni, interni ed esterni».

Ora, Giorgia Meloni è la più ferragna delle politiche in tutto, anche nel conoscere bene il proprio pubblico e i di esso limiti. Sapeva che, se avesse detto solo «la pace nel mondo», non sarebbe arrivata a segno la parodia della miss America che risponde con la frasetta che s’illude la faccia sembrare profonda. Ha quindi segnalato la manovra coi lampeggianti: ha inserito la pace nel mondo tra due punti della propaganda dei Cinque stelle, il partito alle cui trovatine è più apertamente ostile, certa che in quel modo tutti avremmo compreso il tono, l’antifrastica, il guizzo ironico. E invece.

E invece il pubblico tutto è ormai come Gianni Boncompagni descriveva il pubblico della prima serata di Rai 1, tremebondo di fronte a concetti più sofisticati di «cane, pane, minestrina col dado».

Giorgia Meloni lo sa, Giorgia Meloni vi sa, eppure per le ventiquattr’ore successive alla conferenza stampa i social erano pieni di «ma non si vergogna» (la formula preferita del cittadino con pacchetto dati) che ci spiegavano che si esprimeva come una miss.

Ma certo che si è espressa come una miss, era esattamente quello il punto, razza di imbecilli privi del secondo livello di lettura e spesso anche del primo. Vi stava dicendo che Conte (il segnaposto, no il cantante) è miss in gambissima, come fate a non capirlo…

E quindi, quando Chiara Ferragni dice che ha fiducia nella magistratura, noi la riportiamo compìti che Chiara Ferragni ha fiducia nella magistratura.

Come se la frase, messa su Google, non si rivelasse più abusata del trasloco-terzo-evento-più-traumatico-nella-vita-di-una-persona: solo alla prima pagina di risultati, hanno avuto fiducia nella magistratura Crosetto e le ginnaste che hanno accusato l’allenatore di molestie, Leoluca Orlando e il padre di Renzi, Mimmo Lucano e la Meloni (pure lei a proposito delle accuse a Lucano: fu un caso di fiducia bilaterale).

Il problema, come sempre, siamo noi, non la Ferragni, non la Meloni, non il francese del quale non abbiamo ancora memorizzato il nome ma conosciamo le preferenze in materia di contenuto delle mutande. Il problema siamo noi che saremmo pagati per capire il mondo, per usare le parole, per riconoscere i registri lessicali, e invece guardiamo con aria intensa i nostri interlocutori e diciamo che il trasloco è il terzo evento più traumatico, i giovani hanno tanto da insegnarci, e da nessuna parte si mangia come in Italia.