Fascismo/ Il pensiero dello storico Emilio Gentile

Emilio Gentile (Bojano, 1946) storico, allievo di Renzo De Felice

“Quello che accade oggi in Italia è, secondo me, una situazione per molti aspetti tutt’altro che tranquillizzante perché è caotica, e non perché ritorna il fascismo, ma perché governa una democrazia recitativa, e per giunta confusionaria. Abbiamo oggi al potere i postfascisti che parlano di unità nazionale, di interesse della nazione contro l’interesse particolare: ma i postfascisti sono alleati con un movimento, la Lega, che da oltre tre decenni predica che l’unità d’Italia è stato un errore, che lo Stato nazionale è una disgrazia, e che bisogna procedere a demolirlo con azioni di secessione o di autonomia. Inoltre, postfascisti e leghisti sono alleati da trent’anni con il partito personale di Berlusconi, il partito della vita gaudente che incarna esattamente l’opposto della vita fascista spartana e totalitaria. Il berlusconismo ha provato a inventare un’Italia del benessere e della felicità, rappresentata dagli spettacoli delle sue televisioni. Tutto ciò non è fascismo, neppure sotto altre vesti. Che cosa possa venir fuori da questo miscuglio ideologico e politico è difficile dirlo”.

Lei dice in sostanza che il non aver fatto i conti con la natura totalitaria del regime impedisce di consegnarlo alla storia.
“Io mi chiedo come sia possibile che ancora oggi si metta in discussione la peculiarità storica del regime fascista, domandandosi se fu veramente totalitario. È come domandarsi se la Chiesa di Roma sia veramente cattolica, o se la democrazia ateniese fu veramente democratica. Significa mettere in discussione la storia nelle sue realtà fondamentali. O semplicemente ignorarla”.

A mettere in discussione la natura totalitaria del fascismo sono esponenti di un partito politico oggi alla guida del paese.
“Purtroppo non è una loro esclusiva. È una banalizzazione diffusa fra politici, intellettuali, accademici. E rivela l’inutilità del lavoro storiografico per coloro che esercitano un ruolo dirigente in Italia. Le nostre classi politiche non conoscono la storia. La divulgazione storica per il grande pubblico è condita di storielle, pettegolezzi, effetti sensazionali. È un racconto che coltiva i luoghi comuni o asseconda il nuovo potere. La complessità annoia. O non interessa”.

Ma è stato questo ritardo nel fare i conti con la dittatura fascista ad aver favorito il successo di una forza politica erede del neofascismo?
“Non credo che gli elettori di Fratelli d’Italia siano tutti nostalgici del fascismo. Sono piuttosto persone deluse dai partiti degli ultimi governi. Mi chiedo però come sia stato possibile che settantasette anni di democrazia repubblicana non siano valsi a convertire gli italiani ai principi della Costituzione. La responsabilità non è dei fondatori antifascisti ma dei loro continuatori, incapaci di trasformare la Costituzione in un costume politico collettivo. Neppure la scuola ha trasformato la conoscenza storiografica in una lezione civica sul significato e il valore delle libertà democratiche. Ci hanno provato i presidenti della Repubblica, ma i partiti politici li hanno seguiti solo con la retorica”.

Resta il fatto che oggi molti italiani non hanno alcun turbamento davanti ai simboli littori e alla fiamma del neofascismo, che pure evocano morte e persecuzione.
“Credo che questo accada perché la Repubblica democratica ha consentito l’esistenza di un partito neofascista, presente in tutte le competizioni elettorali. L’articolo XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione limitò solo per cinque anni “il diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”. Se Mussolini fosse sopravvissuto, nel 1953 avrebbe potuto candidarsi in Parlamento”.

Ci mancava solo questo.
“Ma questa è stata la grande vittoria dell’antifascismo, capace di includere nel proprio sistema democratico anche i suoi avversari più temibili. E la democrazia repubblicana, nonostante i suoi travagli, vive da settantasette anni, cinquantaquattro in più del regime fascista”.

L’antifascismo oggi non viene riconosciuto come cultura politica fondativa né dalla presidente del Consiglio né dal presidente del Senato.
“Anche se venisse riconosciuto, basta la professione antifascista a definire un’identità democratica? Per qualsiasi partito, questa è definita dalla politica concreta. Probabilmente Giorgia Meloni intende utilizzare tutte le possibilità del metodo democratico per governare almeno vent’anni. Ma questa è la realtà della nuova democrazia recitativa, ovunque prevalente: democratica nel metodo, ma senza l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini alla politica”.

Non vede particolari rischi di un’involuzione democratica, come ha lamentato una personalità misurata come Romano Prodi?
“Il rischio può esserci. Ma l’involuzione è cominciata almeno da trent’anni, quando un partito personale che non era democratico al suo interno ha egemonizzato la scena pubblica. Bisogna però constatare che la democrazia naviga in cattive acque ovunque in Europa e nel mondo. Sopravvive il metodo – tutti riconoscono la competizione elettorale per scegliere i governanti – ma non serve più a realizzare l’ideale democratico, cioè governare per emancipare il maggior numero di esseri umani. L’ideale democratico si sta esaurendo un po’ dappertutto”.

Esiste però probabilmente qualcosa di più profondo che giustifica la differenza di trattamento tra nazismo e fascismo nel secondo dopoguerra.
Certamente. A ciò bisogna aggiungere anche un’altra considerazione, che riguarda la diversa immagine postuma dei due regimi, cioè il fatto che sul fascismo non ha pesato la ferocia razzista e la responsabilità diretta del genocidio e dello sterminio di massa. Certo, anche il regime italiano ha praticato azioni di sterminio in Libia, in Etiopia, nei Balcani occupati dagli italiani, ma tali eccidi non ebbero dimensioni comparabili a quelle del nazismo. Aggiungiamo ancora, l’atteggiamento dell’opinione pubblica e della politica nell’immediato dopoguerra, che ha prodotto una defascistizzazione del fascismo, descrivendolo come un regime buffonesco benché crudele, imposto su un popolo ostile da una banda di criminali e di cialtroni, violenti, avidi, profittatori, senza ideologia, senza cultura, senza consenso. Un anonimo antifascista, sin dal 1944, sostenne che il fascismo, in realtà, non era mai esistito perché non c’era un’ideologia fascista uno Stato fascista, un’economia fascista, ma c’era stato soltanto il mussolinismo, la dittatura personale di un demagogo ambizioso e istrionico, con un seguito di servi obbedienti. Alcune di queste formule negative sono state adottate per decenni anche da parte degli studiosi, che le ripetevano come se fossero una vera e propria interpretazione realistica del fenomeno, trascurando tutto ciò che il fascismo era stato come partito armato e come regime totalitario.
C’è un altro motivo della defascistizzazione del fascismo, favorita, sia pure per opposti fini, dai reduci del fascismo che diedero vita al movimento neofascista. Dopo un breve periodo di epurazione e di processi, la maggior parte dei responsabili del regime fascista e della Repubblica sociale tornarono in libertà, grazie anche all’amnistia decisa da Palmiro Togliatti ministro della Giustizia. I gerarchi maggiori subirono processi, ma non ci furono condanne a morte o condanne all’ergastolo, e dopo un periodo di detenzione, quando non furono assolti, ripresero la loro partecipazione alla vita pubblica, con la nascita del Movimento sociale italiano. L’Italia ha avuto molti reduci fascisti che hanno potuto riprendere liberamente l’attività politica richiamandosi esplicitamente al fascismo, tuttavia agendo all’interno della repubblica antifascista e democratica. Queste persone hanno partecipato alle elezioni politiche, hanno avuto la loro rappresentanza in Parlamento, senza che venisse mai applicata nei loro confronti la legge Scelba, che vieta la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista. Eletti democraticamente, i neofascisti hanno amministrato comuni, città, provincie, regioni. Oggi, i discendenti politici dei reduci fascisti, rilasciando dichiarazioni, apparenti o convinte, del loro distacco dalle radici neofasciste, sono giunti al governo col metodo democratico, anzi sono stati presenti fin dal 1994 nei governi di Silvio Berlusconi.

Dunque è questa la novità del fascismo, il suo carattere di partito armato?
Nell’Europa degli anni Venti vi sono molte organizzazioni politiche paramilitari, specie nell’Europa centrale ed orientale, ma molte sono effimere. Nel ‘22 solo in Italia vi è un partito di massa che non solo ha una organizzazione militare, ma è un partito milizia nell’ideologia, nella mentalità, nella cultura, nello stile di vita e di azione. È nazionalista, antisocialista, antiliberale e antidemocratico. Combatte gli altri partiti come nemici e distrugge le loro organizzazioni con la violenza. Fra una miriade di organizzazioni paramilitari sparse nel continente europeo come eredità della grande guerra, il fascismo è l’unico partito milizia di massa che riesce a conquistare il potere. E ciò avvenne soprattutto perché era un partito armato, e non solo perché Mussolini era il suo duce.

La dinamica fascismo/antifascismo ha strutturato tutto il dibattito pubblico italiano dal dopoguerra a oggi, Silvio Berlusconi è stato a lungo accusato di fascismo, così come Matteo Salvini, per quanto la provenienza culturale e politica fosse tutt’altra. La partecipazione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che invece da quel mondo viene, alle celebrazioni del 25 aprile, rende questo dibattito superato?
Mi riesce difficile fare il profeta, posso però fare qualche considerazione sul presente guardando al passato. Quando si parla di fascismo e antifascismo si crea una sorta di gioco delle parti: i fascisti in Italia ci sono stati, sono rimasti e ci sono ancora, nella misura in cui esistono delle persone che si proclamano tali e considerano il fascismo un periodo positivo nella storia degli italiani, addirittura il più positivo. Essendoci ancora tali fascisti, ci sono coloro i quali ritengono che il pericolo fascista sia sempre presente, e dunque vada contrastato con un permanente antifascismo militante. Questo è accaduto soprattutto durante lo scontro violentissimo tra le forze politiche negli anni Sessanta e Settanta. Prima di Berlusconi e di Salvini, anche Alcide De Gasperi era considerato fascista secondo Palmiro Togliatti, perché il fascismo è in essenza la reazione capitalistica contro l’emancipazione della classe operaia: pertanto, quando la Democrazia cristiana nel 1947 rompe l’alleanza di governo con i comunisti, diventa fascista. Lelio Basso, il socialista marxista che il 2 gennaio 1925 inventò il sostantivo totalitarismo, nel 1951 pubblicò un libro intitolato Due totalitarismi: fascismo e democrazia cristiana. Solo nel 1975 il dirigente comunista Giorgio Amendola, figlio di Giovanni Amendola che aveva inventato l’aggettivo totalitario, si schierò contro l’utilizzo generico e indiscriminato della parola fascismo, perché in questo modo si crea solo confusione.
Dopo la fine del fascismo storico, che ha segnato profondamente la storia d’Italia e ha lasciato la sua impronta anche nella storia d’Europa e del mondo, in Italia il neofascismo si è inserito nella repubblica antifascista, che comunque superano di tre volte il ventennio fascista. Ciò storicamente consacra la vittoria definitiva dell’antifascismo, che vive istituzionalizzato nella Costituzione e nella repubblica democratica, mentre il fascismo storico appartiene unicamente alla storia. Altrimenti dovremmo dire che oggi, in Italia, abbiamo al governo chi sostiene lo Stato totalitario, il partito unico, il corporativismo, i sindacati di Stato, l’irreggimentazione delle masse, la creazione d’una nuova razza italiana guerriera, e una politica estera imperialista. Perché questo è stato storicamente il fascismo.

Lei però è convinto che oggi la democrazia occidentale stia affrontando una crisi profondissima.
Credo che sia la democrazia ad avere in sé stessa generato molte insidie pericolose, che non sono il fascismo di ritorno, ma sono principalmente il rifiuto o l’incapacità di realizzare l’ideale democratico. La democrazia moderna non consiste solo nell’adoperare il metodo democratico per la elezione dei governanti da parte dei governati, perché lo strumento, di per sé, non garantisce le libertà: possiamo avere, con la libera scelta dei governanti da parte dei governati, una democrazia razzista, antisemita, xenofoba.

Quindi l’utilizzo del sostantivo fascismo in questo caso è improprio? L’idea del fascismo eterno teorizzata da Umberto Eco ha una sua ragion d’essere oppure no?
Ritengo sia improprio. Usare il termine fascismo in senso generico, come spesso è avvenuto e avviene, applicandolo al mondo politico degli ultimi sette decenni, da Truman a Trump, passando per Nixon, Reagan, Bush jr., o da De Gaulle alla Le Pen, a Saddam Hussein, a Erdogan, a Putin, a Berlusconi e Salvini, è solo un pessimo modo di confondere e ostacolare la conoscenza della realtà in cui viviamo. La conoscenza progredisce attraverso la distinzione, non attraverso la confusione. Se noi diciamo che la Cina comunista è fascista, che Putin è fascista, che Trump e Bolsonaro sono fascisti, che cosa impariamo di nuovo sulla realtà in continuo mutamento? E soprattutto, se veramente il fascismo è ritornato, allora dovremmo far subito una terza guerra mondiale per eliminarlo, come avvenne otto decenni fa. Quando diciamo che in Italia c’è il ritorno del fascismo, gli antifascisti devono imbracciare il mitra e cominciare una nuova resistenza?

Se la teoria del fascismo eterno fosse valida, allora vorrebbe dire che il fascismo ha vinto perché non può essere mai definitivamente sconfitto. Eppure, persino Dio, che ha l’attributo dell’eternità, ha subìto una sconfitta, che dura da oltre duemila anni, quando ha mandato suo figlio sulla terra per emendare il mondo dal male e invece lo ha moltiplicato, spesso ad opera dei seguaci di suo figlio!
Mi pare infatti che il pericolo principale per l’avvenire della democrazia siano i democratici che non realizzano l’ideale democratico, come è sancito dall’articolo 3 della costituzione italiana, rimuovendo qualsiasi ostacolo e discriminazione che impedisca il libero sviluppo della personalità dei cittadini. Ci stiamo inoltrando verso la instaurazione di una “democrazia recitativa”, come io la definisco, con tutti i rituali del metodo democratico, ma senza l’ideale democratico.